1935 L’esposizione universale di Bruxelles a cura di Serena Pacchiani

L’Archivio Storico Luce nel corso del tempo ha visto molte tesi di laurea e di dottorato di ricerca utilizzare la fonte audiovisiva nelle discipline di studi più diverse.

In questo articolo presentiamo un estratto della tesi di dottorato di ricerca della dottoressa Serena Pacchiani, della Scuola di dottorato in storia delle arti e dello spettacolo dell’università di Firenze,  che ha come principale argomento l’Exposition Universelle et Internationale di Bruxelles del 1935, con una particolare attenzione allo studio della partecipazione italiana e, più in generale, delle implicazioni politiche, artistiche ed economiche dell’Italia nei rapporti con l’estero nelle grandi manifestazioni culturali durante il periodo fascista, sotto la supervisione del professor Luca Quattrocchi, storico dell’arte contemporanea.

La dottoressa Pacchiani analizza il documentario L’Esposizione universale di Bruxelles. La solenne inaugurazione del padiglione del littorio prodotto dall’Istituto nazionale LUCE nel 1935 in bianco e nero, della durata di 10 minuti, mutilo di sonoro.

Titolo del progetto di ricerca:
L’Exposition Universelle et Internationale, Bruxelles 1935: l’immagine dell’Italia all’estero tra arte, architettura e propaganda. (articolo in pdf).

Obiettivi del progetto:
Il progetto di ricerca si pone lo scopo di analizzare approfonditamente la partecipazione dell’Italia
all’Exposition Universelle et Internationale tenutasi a Bruxelles dall’aprile al novembre del 1935.
L’Esposizione, sulla quale scarseggiano trattazioni specifiche e notizie documentarie edite,
limitate alle sole riviste d’epoca, al Livre d’or de l’Exposition, ad alcuni cataloghi delle singole
nazioni partecipanti ed alle pubblicazioni indicate in bibliografia, risulta invece particolarmente
significativa sotto molteplici aspetti.
Se da una parte risulta numerosa e cospicua la letteratura storico-critica sulle più importanti
Esposizioni Universali ed Internazionali, con una spiccata concentrazione sulle topiche rassegne
londinesi e soprattutto parigine ed altrettanto ingenti sono i contributi sulla storia delle
Esposizioni europee ed extra-continentali (caratterizzati tuttavia da una “fisiologica”
approssimazione dovuta alla vastità del tema), dall’altra sembra mancare del tutto un’organica ed
esaustiva dissertazione sulla partecipazione italiana a Bruxelles nel 1935 e, più in generale,
un’analisi approfondita dell’Esposizione stessa, alla quale spesso si fa riferimento in correlazione
all’Exposition di Bruxelles del 1958 (per la quale erano peraltro state riutilizzate alcune
architetture del 1935). Ricco e variegato appare invece il programma enunciativo dell’Expo belga,
alla sua terza designazione (considerate le due precedenti edizioni del 1897 e del 1910),
incentrato sul tema comune de “La colonizzazione dei trasporti”, argomento interessante anche
per le diversificate declinazioni nazionali e per le eterogenee ripercussioni politiche; similmente
rilevante dal punto di vista politico-economico appare anche la presenza parziale della nazione
tedesca, alla quale viene riservato solo uno spazio nella Halle International, e la totale assenza
dell’Unione Sovietica.
L’Expo del 1935 si inserisce peraltro all’apice di un cruciale processo di transizione iniziato nel
1928 con la creazione del Bureau International des Expositions (BIE), organismo comunitario
deputato al coordinamento, alla promozione ed alla diffusione del messaggio dei grandi eventi
internazionali. Una delle principali riforme caldeggiate dal BIE prevedeva infatti l’eliminazione
delle note Galeries des Machines, determinando così una sostanziale trasformazione e
rivalutazione sia delle singole sezioni che degli spazi comuni. In tal senso è dunque possibile
leggere anche il multiforme panorama artistico ed architettonico della rassegna belga del 1935,
che oscilla dalle prove della nazione ospitante, indirizzate dall’architetto-demiurgo Joseph Van
Neck (1880-1959) verso un linguaggio di stampo monumentale, meritevoli di un necessario
approfondimento, alle strutture di stampo “modernista” di Victor Bourgeois (1897-1962), sino a
giungere ai padiglioni delle singole nazioni coinvolte nell’Expo, spesso caratterizzati da uno stile
déco attardato, venato di sfumature bizzarre e folcloristiche.
Nondimeno la nazione italiana, con i suoi quindici padiglioni dislocati lungo la Avenue du Gros
Tilleul e l’enorme torrione di ferro, condensa ed assume, nella scelta degli architetti, nell’esecuzione
dei padiglioni e nella selezione degli artisti chiamati a rappresentare lo stato corporativo fascista ed
il nascente e redivivo Impero romano, un fondamentale spunto di riflessione sulla “strategia”
propagandistica operata da Mussolini e dagli organizzatori della sezione. Alla classicheggiante Ville
de Rome di Antonio Muñoz (1884-1960), realizzata ad hoc per ospitare la mostra sulla Roma
Imperiale, si affiancava il padiglione del Littorio, considerato dallo stesso Mussolini una naturale
prosecuzione della Mostra della Rivoluzione Fascista; prosecuzione evidente anche nella scelta
dell’architetto Adalberto Libera (1903-1963), uno dei principali allestitori della mostra di Palazzo
delle Esposizioni nel 1932 insieme a Mario De Renzi (1897-1967), con cui prosegue il sodalizio
anche nell’erezione del padiglione italiano all’Esposizione Internazionale di Chicago del 1933 e per
questa di Bruxelles. Libera progetta il padiglione littorio, deputato ad ospitare il nucleo più
sintomatico dell’Esposizione, ossia le attività più importanti promosse dal regime, tra le quali
spiccano le ventidue corporazioni.

La lunga lista degli architetti e degli artisti coinvolti nella rappresentazione dell’immagine moderna dell’Italia fascista alla grande kermesse internazionale vede protagonisti, nella figura di costruttori di architetture effimere, allestitori e decoratori, nomi importanti e meno noti, il cui ruolo all’interno dell’Expo appare degno di un indispensabile approfondimento, come Pietro Aschieri (1889-1952), Eugenio Faludi (1899-1981), Giancarlo Palanti (1906-1977), Luciano Baldessari (1896-1982), Ettore Rossi (1894-1968), Franco Albini
(1905-1977) e, non ultimo, l’architetto fiorentino Gherardo Bosio (Firenze, 1903-1941). Personalità
significativa nel panorama nazionale ed internazionale, Bosio, ben presto entrato a far parte della
compagine degli architetti del Sindacato Nazionale Fascista di categoria, nel 1935 venne invitato a
partecipare all’Esposizione belga forse per intercessione dello stesso Antonio Maraini (il quale
peraltro, alla precoce morte del progettista nel 1941, si occupò dell’organizzazione di una
retrospettiva dedicata all’architetto ed amico).

Lo studio dell’Exposition del 1935 si configura dunque come occasione ulteriore di spoglio ed analisi della documentazione relativa a Bosio, dei suoi eventuali rapporti con Maraini e con altri progettisti fiorentini con cui ha intrecciato proficue collaborazioni (come Ugo Giovannozzi e Ferdinando Poggi), ripercorrendo altresì le orme della sua poetica, di certo condensate nei progetti esposti in uno dei padiglioni italiani di Bruxelles.
Frutto della nuova riforma del BIE, le belle arti, eccezion fatta per le mostre nazionali d’arte antica,
moderna, vengono condensate in un unico padiglione: tale sfida spinse Antonio Maraini (Roma,
1886-Firenze, 1963), in questa sede nella veste di instancabile organizzatore di mostre, ad
intavolare un proficuo confronto con le altre nazioni, proponendo una rassegna di artisti emergenti,
sui quali nulla sembra trapelare dalla lettura del breve testo che introduce la descrizione della sala
italiana. Tale assenza di dati certi ed attendibili stimola ulteriormente lo studio e l’approfondimento
della partecipazione artistica italiana alla mostra, con un particolare riguardo alla politica
marainiana di selezione dei partecipanti e dei criteri allestitivi della mostra stessa.
Una parte significativa del lavoro si concentrerà sull’analisi dei singoli padiglioni italiani, poco o
nulla studiati sia singolarmente che nel loro complesso, ed all’eventuale e reciproco dialogo tra i
vari architetti ed artisti nella concertazione del programma progettuale e decorativo, che prevedeva
importanti manifestazioni di plastica murale, con i contributi di personalità quali Guido Cadorin
(1892-1976), Felice Casorati (1883-1963) e l’artista di origini liguri Antonio Giuseppe Santagata
(1888-1985), nonché fotomontaggi (o più propriamente “fotomosaici”) sulla falsariga della Mostra
della Rivoluzione Fascista ed episodi decorativi significativi quali le ceramiche di Albisola, i vetri
di Venini e le botteghe dell’ENAPI promosse da Giovanni Guerrini (1887-1972).

 

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