Il documentario Opus prodotto nel 1955, per la regia di Franco Romani ed il soggetto di Giovanni Minozzi, è stato presentato all’Archivio di Stato di Rieti in occasione dell’uscita del primo numero della rivista Didattica Luce in Sabina. Il numero era stato dedicato al terribile evento del terremoto che ha colpito Amatrice ed Accumoli il 24 agosto 2016.
In quella occasione potemmo ascoltare dal vivo uno dei superstiti del terremoto: Giulio Aniballi. Oggi pubblichiamo la sua riflessione e i suoi ricordi dopo aver visto la proiezione del documentario.
“E’ emozionante ritornare ad Amatrice con la “SAURA”. È l’autobus che apre il filmato. Così veniva chiamata da tutti la corriera che da Roma portava ad Amatrice. SAURA era la sigla della società automobilistica concessionaria del percorso. Società Automobilistica Umbra Romana Abruzzese. Il filmato, inizia con la rossa casa Cantoniera. Nel comune di Borgo Velino all’allora Km 133, ( ora con i nuovi tracciati la distanza è diminuita notevolmente, pur non negando che qualche volta fa piacere ripercorrere con la moto qualche pezzo della vecchia Salaria e rivedere i bellissimi paesaggi della sabina. E’ da Antrodoco che la Salaria si addentra nelle gole del Velino per arrivare a Sigillo, dove si ammira l’omonimo ponte. E’ l’antico ponte romano, che permetteva alla vecchia Consolare di traversare il fiume Velino e dirigersi verso Posta. Le immagini mi riconducono lontano nel tempo, quando appena dopo un anno dalle riprese del filmato, il ponte fu restaurato ad opera di mio padre per conto della Soprintendenza ai Monumenti di Roma.
Lungo le gole di Sigillo la SAURA si dirigeva verso Amatrice lasciandoci vedere le numerose cascatine del Velino belle fresche e suggestive, ancora estremamente pulite, perché a Cittareale, poco prima, è dove nasce quest’importante corso d’acqua che traversando Rieti arriva a Marmore dando vita all’omonima cascata. Cittareale, è anche importante per essere il luogo di nascita dell’imperatore Vespasiano. Da poco sono tornati alla luce tantissimi reperti archeologici esposti nel museo civico della Città.
Arrivati alla piana di Torrita, si scorge l’altopiano di Amatrice: una visione quasi a trecentosessanta gradi. Giunti li, per un Amatriciano significa già la fine del viaggio, il Vettore, Pizzo di Sevo, Gorzano ed ancora Verso destra il Corno Grande del Gran Sasso d’Italia, ti indicano che sei arrivato a casa. Le loro imponenti creste innevate incutono austerità ma nello stesso tempo un senso di protezione, ti difendono da un di la che non immagini ma che forse neanche ti interessa di voler scoprire. Qui c’è tutto. Tanto cielo, tanti monti che si specchiano sulle acque del lago, tanti pianeggianti terreni che accolgono le sessantanove frazioni di Amatrice, ed ancor di più le cento chiese che arricchiscono di arte l’intera conca Amatriciana. Questo scenario fu scelto dalla rivista Grazia come itinerario turistico con il nome “Itinerario Panoramico di Grazia” facendo apporre nelle vicinanze del Lago Scandarello un apposito cartellone pubblicitario. Il filmato avvicinandosi ad Amatrice mostra una visione aerea dell’eremo della Croce, riconducendomi ai periodi dell’adolescenza. Era meta delle prime camminate di nascosto dei genitori, sembrava di aver scalato il mondo, e realizzato chi sa quale malefatta. Da li non si vorrebbe mai riscendere, da li si sorveglia tutto ciò che succede in città. Sì, perché, chi non è mai salito fin li su, non sa che è tanto più vicino di quello che sembra. La chiesetta è posta proprio in direzione perfettamente in linea con il Corso. Basta affacciarsi dalla balaustra in legno ed Amatrice è vicinissima, si vede e si sente tutto, tanto d’avere la sensazione di non essere mai soli. E’ da lì, che dopo il sisma, ho voluto rivedere per la prima volta Amatrice, con gli edifici crollati e quelli ancora in piedi, con la speranza di illudermi che forse ancora non era tutto distrutto. Avevo la sensazione di essere al di la del vetro di una stanza del pronto soccorso, fuori di una camera di rianimazione e guardavo Amatrice moribonda. E’ da li che non ho più sentito le stesse voci a me tanto care, i rumori a me familiari, sentivo soltanto i rumori delle ruspe che si facevano largo tra le macerie i loro assordanti bip ( avvisatori acustici della retromarcia) che segnavano un’altra palata di città che veniva portata via. Ma ritorniamo al filmato e alla gioia che mi arreca di rivedere ancora Amatrice di sessanta anni fa, quando il terremoto del 1950 era soltanto un fantasma ed un brutto ricordo che i miei mi raccontavano e si pensava che non dovesse mai più accadere. Vedo i tetti di Amatrice in una delle tante mattinate di primavera, con i comignoli fumanti; insieme al fumo escono i profumi delle cucine, ogni famiglia il suo, ogni mamma, ogni moglie con il proprio modo di cucinare che da il meglio di se per accogliere a pranzo i propri cari, non tanto per gli elogi, quanto per la speranza di un buon gradimento. All’epoca del filmato,1955, erano trascorsi soltanto dieci anni dalla fine della guerra, e, come oggi c’era tanta voglia di ripresa. Si notava un benessere sempre crescente ma contornato comunque da un radente ricordo di un difficile passato.
Le macchine parcheggiate sui bordi del corso, per lo più Fiat 1.100, danno a confronto di foto di qualche anno prima, una nuova visione alla città. Non si vedono più i carretti, i negozi hanno preso un aspetto diverso, quasi moderno. Sulla destra dell’immagine, si vede un’impalcatura, serviva per trasportare in alto i materiali occorrenti alla costruzione del palazzo della Cassa del Risparmio, che mio padre all’epoca stava realizzando. Doveva essere un albergo a sei piani; per l’Amatrice di allora un “grattacielo” che avrebbe dato lustro ed importanza alla città. Finì invece per non essere utilizzato come tale, lasciando il posto all’agenzia di una banca e ad appartamenti per i dipendenti, rovinando la precedente configurazione urbanistica della città. Unica consolazione, che ha resistito a tante scosse telluriche facendo il giro del mondo con lo slogan “ Il palazzo rosso di Amatrice resiste ancora”
Traversato il corso si giunge al “Don Minozzi”, una colossale casa di accoglienza per orfani di guerra che, diffusasi in tutta Italia, aveva la sede generale proprio ad Amatrice , città natale di Don Giovanni Minozzi. Uomo di grande personalità. L’iniziativa di girare il filmato, è certamente partita da Lui, che, ancora vivente, ben comprendeva l’importanza che il Film Luce avesse sull’informazione e sulla divulgazione delle grandi opere.
L’Opera Don Minozzi, nacque nel secondo decennio del secolo passato, onde sopperire ai bisogni del dopoguerra del 15/18 all’insegna dell’ INNOVAZIONE – ORDINE – CULTURA – LAVORO- RELIGIONE.
Minozzi , uomo di dura tempra ed eccellente cultura, fu lungimirante nell’intuire i dolori che infliggeva la guerra.
Al fronte inventò la Casa del Soldato e a fine guerra, rispettando una promesse fatta ai suoi soldati, fondò tantissimi orfanotrofi. A lui si aprivano tutte le porte: la Santa Sede , il Governo da poco formato e lo stesso Regime. Tutti, dietro le sue pressioni elargirono fondi per le opere da Lui inventate. Quando le risorse non fossero state sufficienti non esitava a salpare oltre oceano tornando sempre in Italia con congrue cifre.
Il primo tentativo di aggregazione, ebbe inizio presso l’asilo e convento delle Suore del Santissimo Crocifisso, all’inizio di Amatrice onde , come diceva Don Minozzi , “ volgere prima l’occhio alle orfanelle, perché più temevo per loro, creature fragili e delicate”;…. nel contempo, diventava sempre più urgente anche il problema dei maschi, …..assolutamente occorreva pensare anche ad essi”.
Partì così, in via Madonna della Porta , nella chiesa di S. Fortunato, all’interno di Amatrice, il primo collegio maschile. Subito quello spazio diventò estremamente insufficiente e si pensò di spostarsi verso Villa S. Cipriano edificando lì il primo grande collegio per più di cinquecento alunni accogliendo poi, purtroppo, anche gli orfani della seconda guerra mondiale. Su questo stile l’Opera don Minozzi invase l’Italia intera con un maggior numero di interventi al sud. In quelle regioni meno abbienti, dove si sentirono subito i benefici effetti socio culturali.
Tutti i padiglioni furono edificati usando già i primi criteri per le costruzioni in cemento armato. L’intero progetto era programmato per precisi lotti successivi. Oltre ai dormitori e cucine subito si edificarono scuole, laboratori, tipografia, infermeria, cinema teatro, forno, il duomo ed una azienda agricola. Si assicurava così una futura certezza lavorativa a tutti i “discepoli Minozzini”. Per Amatrice fu un nuovo secolo nelle arti, mestieri e professioni, tutto all’insegna del nuovo e del moderno.
Tanti sono i personaggi che con affetto ho avuto modo di rivedere nel filmato. Molti di loro già da anni ci hanno lasciato, forse meglio così, non sono stati costretti, da una triste sorte, a ricordare la scomparsa della loro città.
Fortunatamente, per il non perdurare dell’esigenze post belliche, una parte del complesso è stato riconvertito a residenza per anziani. Di recente la restante parte è stata risistemata per poter essere riutilizzata.
Di certo la fruibilità di tutti questi edifici avrebbe portato una ricaduta economica sull’intero comprensorio amatriciano.
Le cose purtroppo non sempre vanno nel verso giusto! I recenti sismi hanno sconvolto Amatrice e l’intera Opera don Minozzi. Quasi niente è rimasto dei tanti edifici. Gli spazi riservati ai campi sportivi sono stati subito utilizzati per i primi soccorsi dalla Protezione Civile. Altri spazi liberi e gli edifici abbattuti faranno posto alle nuove esigenze per le delocalizzazioni e la ricostruzione di tanti servizi andati perduti. È così che già una gran parte di Amatrice, di fatto si è spostata all’interno dell’Opera che è stata sempre l’orgoglio della città e la testimonianza di tanto lavoro che un presbitero Amatriciano è riuscito a fare.
Questa è la “SECONDA VITA DEL DON MINOZZI”. Questa è la sorte di tutto quel complesso che, “ obtorto collo”, Don Giovanni oggi vede occupato da “Nuovi Orfani”, da Noi Amatriciani orfani della nostra città, dei nostri affetti, delle nostre usanze, di un’Amatrice distrutta; non soltanto dal terremoto ma anche da una FARRAGINOSA BUROCRAZIA che non va di certo usata in “TEMPO DI EMERGENZA”.
Forse e’ giunto il tempo di dover girare un altro filmato: “LA SECONDA VITA DEL DON MINOZZI “ la città nella città che ben si è prestata a far fronte ai primi soccorsi ed anche a far posto ad un altra parte di Amatrice. Le grandi opere non muoiono mai”.
Commovente! Non si potrebbe inserire il link al documentario su youtube o anche sul sito dell’archivio luce, per chi non avesse potuto vederlo il giorno della presentazione? Cari saluti e grazie