Libro e moschetto, fascista (im)perfetto di Monika Ruga e Elisabetta Balducelli

Dopo i discorsi di Mussolini alla nazione e le celebrazioni collettive degli anniversari fascisti, ci occupiamo qui di un altro fondamentale canale di costruzione del consenso, e cioè quello delle organizzazioni giovanili del regime. Il testo è pensato per gli studenti della scuola secondaria di primo grado e l’idea è quella di tracciare, attraverso le fotografie e i filmati dell’Archivio Luce, un piccolo affresco della vita dei bambini e ragazzi (maschi e femmine) durante il Ventennio, del loro “tempo non libero”, tutto o quasi tutto occupato da attività mirate a formare i “fascisti di domani”.

Le organizzazioni giovanili nel Ventennio fascista

Il termine balilla nasce dal nomignolo dato a Giovan Battista Perasso, un giovanetto di Genova, che nel 1746 avrebbe dato il via all’insurrezione antiasburgica nel quartiere Portoria. Ma fu Goffredo Mameli, autore dell’inno nazionale italiano, a renderlo popolare. Come spesso accadrà in altre occasioni, il fascismo si appropriò anche di questa leggendaria figura. Un ragazzo di 11 anni si sarebbe presentato, era il 1921, alla direzione dei Fasci di combattimento di Milano chiedendo sostegno per difendersi dalle presunte violenze subite, da lui e da un gruppo di suoi amici, da parte di figli di socialisti. Da qui nacque l’idea di creare, all’interno dell’Avanguardia giovanile fascista (Agf) dei gruppi riservati ai più piccoli.

I bambini dagli 8 ai 14 anni, chiamati balilla per l’appunto, furono quindi tra i primi a essere organizzati e questo avvenne già a partire dal 1922, subito dopo la Marcia su Roma. Nel 1926 nasceva ufficialmente l’Opera nazionale balilla (O.N.B.) creata “per l’assistenza e per l’educazione fisica e morale della gioventù” (questa era la dicitura completa). Bambini e giovani di entrambi i sessi furono suddivisi in: figli e figlie della lupa (6-8 anni ma solo a partire dal 1935), balilla e piccole italiane (8-14 anni), avanguardisti e giovani italiane (14-18 anni), giovani fascisti e giovani fasciste (18-21 anni).

Appena tre anni prima, nel 1923, la scuola aveva subito un radicale cambiamento con la discussa riforma scolastica di Giovanni Gentile. Nonostante i molti interventi la scuola pubblica non riuscì mai a garantire da sola la diffusione dell’ideologia fascista. Ci voleva un’istituzione, l’O.N.B. appunto, più vicina al partito, che controllasse politicamente le nuove generazioni e che creasse sin da subito consenso nei confronti del fascismo.

Archivio Luce, Giornale Luce B0104 del 1932, Roma scuola all’aperto del governatorato

Uno slogan molto in voga durante il Ventennio era “Libro e moschetto fascista perfetto” proprio ad indicare come i ragazzi dovevano incarnare, attraverso lo studio (libro) ma anche attraverso le attività premilitari (moschetto), quello che il fascismo voleva fosse un modello ideale di cittadino.

Prima pagina del giornale “Libro e Moschetto”
Archivio Luce, Reparto Attualità, servizio fotografico n. 340 del 20.07.1937, “Mostra delle colonie estive – Padiglione dei GUF e delle organizzazioni giovanili del P.N.F.”

Nel 1926 quindi, l’O.N.B., era sotto il diretto controllo di Benito Mussolini ma dopo 3 anni passò sotto la pertinenza del Ministero dell’Educazione nazionale con un sottosegretariato da prima diretto da Renato Ricci. È da questo momento che si registra una vera e propria compenetrazione tra scuola e organizzazioni giovanili. Un altro passaggio fondamentale fu il trasferimento all’ONB delle competenze precedentemente affidate all’Ente nazionale per l’educazione fisica (ENEF) che venne soppresso. L’organizzazione in questo modo si occupò dell’educazione fisica in tutti gli ordinamenti scolastici.

L’O.N.B. organizzava tutte le attività extra scolastiche e quindi controllava totalmente il tempo libero di bambini e ragazzi, si occupava in particolar modo delle attività ginniche e sportive perché ritenute passaggio fondamentale all’istruzione premilitare. Le attività di preparazione spirituale, sportiva e premilitare si svolgevano di norma il sabato pomeriggio (sabato fascista).

In estate, quando le scuole erano chiuse, l’O.N.B. si occupava anche di organizzare per bambini e ragazzi bisognosi e che necessitavano di cure, colonie marittime o montane dove trascorrere le vacanze. Questa attenzione verso i ragazzi, e di conseguenze verso le famiglie meno agiate, aveva, oltre a una funzione assistenzialistica, anche quella di garantire una penetrazione dell’ideologia fascista nelle fasce più povere degli italiani.

Archivio Luce, Giornale Luce B0518, 08.1934, “Visita di Mussolini alla colonia marina per i fanciulli della provincia di Novara a Miramare sull’Adriatico”.

Nel 1930 i giovani dai 18 ai 21 anni furono inquadrati nei Fasci giovanili di combattimento (FF.GG.C.) che dipendevano dal Partito nazionale fascista (P.N.F.) e non dallo Stato (Ministero dell’Educazione nazionale) come invece accadeva per l’O.N.B. I ragazzi vennero chiamati “giovani fascisti e giovani fasciste”. Quando i giovani compivano 21 anni venivano iscritti al P.N.F.
Nel 1937 l’O.N.B. e la FF.GG.C. vennero fuse in un’unica organizzazione denominata Gioventù italiana del Littorio (G.I.L.) posta sotto il controllo diretto del segretario del P.N.F. Non cambiò moltissimo dal punto di vista organizzativo ma l’iscrizione fu resa obbligatoria (nel senso che i bambini ne faceva parte sin dalla nascita) anche se in realtà lo era già da molto prima. Infatti la tessera d’iscrizione veniva pagata al momento dell’iscrizione a scuola insieme alla pagella e alle tasse scolastiche. Era praticamente impossibile non pagarla dato che l’O.N.B. era inizialmente alle dipendenze del Ministero dell’Educazione nazionale. Questo spiega la massiccia iscrizione all’organizzazione nel tempo. La G.I.L smise di esistere nel 1943.  

Le formazioni

I bambini e i ragazzi erano quindi così organizzati, come si può vedere da questa illustrazione che ritrae i componenti delle varie organizzazioni in uniforme.

Una delle prime cose che salta all’occhio in questa illustrazione sono le divise che sin dalla giovane età venivano indossate dai bambini e dai ragazzi italiani di entrambi i sessi. Queste rappresentate e quelle che verranno descritte nei prossimi paragrafi sono solo alcuni esempi dato che nel tempo le uniformi subirono diversi cambiamenti e che spesso anche all’interno della stessa formazione erano diversi i modelli in uso. Inoltre, c’erano divise invernali ed estive. Rimane il fatto che l’imposizione delle divise durante il fascismo era chiaramente riconducibile a un modello militare soprattutto per i maschi. I bambini e i ragazzi di oggi, secondo il fascismo, erano i potenziali soldati di domani. Era una sorta di servizio militare permanente. La leva fascista, una cerimonia che sottolineava la continuità tra età giovanile ed età adulta, rappresentava il passaggio da un gruppo all’altro.

I Figli e le figlie della lupa

Dall’età di 6 anni fino agli 8 (in alcuni testi addirittura è indicata come età di inizio il primo anno di vita), i bambini furono inquadrati dall’O.N.B. Fu ideato per loro il nome di “figli e figlie della lupa” facendo riferimento alla leggenda di Romolo e Remo allattati appunto da una lupa. Il fascismo sin dai suoi esordi fece della romanità (mito di Roma) oggetto di imitazione: un esempio tra tutti l’uso del fascio littorio e del saluto romano, simboli per eccellenza del Ventennio.

Illustrazione dell’epoca di Pio Pullini

Un altro “mito” che cavalcò il fascismo fu quello dell’“affetto” di Mussolini per i bambini come ben si nota nelle moltissime illustrazioni dell’epoca, un esempio tra tutte quelle dell’artista Pio Pullini. Anche nel materiale presente nell’Archivio storico dell’Istituto Luce troviamo molte fotografie che ritraggono il duce mentre bacia o abbraccia dei bambini che sono molto spesso proprio in divisa.

Archivio Luce, Reparto Attualità, servizio fotografico n. 478C del 20.09.1938, “Il Duce, giunto in auto a Caporetto, bacia sulla fronte un bambino in divisa da figlio della Lupa”

L’uniforme dei figli della Lupa era composta: da camicia nera, calzoncini corti sopra il ginocchio grigioverdi e fez (un particolare copricapo). Le figlie della lupa, invece, portavano, gonna nera a pieghe fino al ginocchio, camicetta bianca e cuffietta nera.

Balilla e piccole italiane

Durante il Ventennio fascista la parola balilla, simbolo di coraggio giovanile, venne usata per denominare i più disparati oggetti. Fu il nome dato a un apparecchio radiofonico, a un modello di automobile, a un moschetto (versione accorciata di un fucile), ma soprattutto fu utilizzato per indicare i bambini, inquadrati nell’O.N.B. , di età compresa fra gli 8 e i 14 anni. I ragazzini dai 16 anni in poi vennero denominati balilla moschettieri dato che durante il sabato fascista oppure in occasioni speciali come le adunate o parate venivano dotati appunto di un moschetto.

Per i maschi la divisa prevedeva una camicia nera con fazzoletto azzurro, i pantaloncini corti grigioverde, una fascia nera legata intorno alla vita e il fez. Le piccole italiane, invece, portavano gonna nera a pieghe sino al ginocchio, camicia bianca con colletto chiuso e cuffia nera.

Avanguardisti e giovani italiane

Il termine avanguardista nasce dal nome dato alla prima organizzazione che raccoglieva i giovani del P.N.F. che si chiamava “Avanguardia giovanile fascista”. In seguito, quindi, i ragazzi dai 14 ai 18 anni venivano inquadrati dall’O.N.B. (poi Gioventù Italiana del Littorio) e diventavano appunto avanguardisti. Da 16 anni in poi venivano denominati avanguardisti moschettieri.
Gli avanguardisti partecipavano spesso a campeggi provinciali e nazionali. Un esempio tra tutti i “campi Dux” (grandi raduni con la partecipazione di moltissimi giovani provenienti da tutta Italia).

Archivio Luce, Reparto Attualità, servizio fotografico n. 610 del 06.09.1934, “Avanguardisti del Campo Dux in posa tre le tende mentre consumano il pranzo”

I ragazzi portavano una camicia nera con un cordone bianco che partiva dalla spalla sinistra e arrivava nella parte inferiore della camicia. I pantaloni erano fermati sotto al ginocchio e venivano arrotolati fino alle caviglie dove si univano alle scarpe. Il copricapo inizialmente era il fez, in seguito il cappello tipo alpino. Le ragazze invece, portavano una camicia bianca con cravattina nera, gonna nera con pieghe fino al ginocchio e basco nero.

Giovani fascisti e giovani fasciste

Come già accennato in precedenza, i ragazzi e le ragazze dai 18 a 21 anni, invece, facevano parte di un’altra organizzazione come già accennato in precedenza, denominata “Fasci giovanili di combattimento” (FF.GG.C.). che furono costituiti nel 1930 dal Gran consiglio del fascismo per completare l’inquadramento formativo dei ragazzi non più di competenza dell’O.N.B.
L’uniforme dei maschi prevedeva: camicia nera di modello sportivo, pantaloni alla zuava, bustina che ricordava quella tipo militare, ghette lunghe bianche. Le donne, invece, portavano di solito: camicetta bianca, gonna nera sotto il ginocchio, calze, bustina nera e guanti bianchi.  

Gruppi universitari fascisti (G.U.F)

I ragazzi e le ragazze (18-21 anni) che frequentavano l’Università, un istituto superiore o un’accademia venivano iscritti ai Gruppi universitari fascisti (G.U.F.).
Il partito investì molto, non solo in senso monetario, in questa organizzazione che avrebbe dovuto formare la futura élite dirigenziale. Durante tutti gli anni Trenta i G.U.F. si fecero carico di tutte le attività didattiche e culturali degli studenti universitari.
I maschi portavano una camicia nera, un giubbino corto nero con il colletto chiuso e rovesciato, controspalline azzurre, pantaloni corti da cavallo o alla zuava di colore grigioverde e il copricapo dei goliardi cioè il classico “unicorno” in feltro colorato indicante la facoltà universitaria. Le donne, invece, portavano, camicia bianca con cravatta a strisce rosse e gialle, gonne nera sotto il ginocchio, calze color naturale e anche loro il classico “unicorno”.

Brevi considerazioni

Uno dei progetti del fascismo era stato quello di gestire sin da piccolissimi la vita, sia a livello fisico che culturale, degli italiani. La creazione di una nazione nuova doveva necessariamente passare dalla creazione di un “uomo nuovo” e di conseguenza sin da subito i bambini, i futuri uomini, furono inquadrati e indottrinati ma soprattutto visti come potenziali soldati.

Le ragazze sarebbero dovute diventare custodi del focolare, mogli e madri dedite unicamente alla famiglia, spesso invece le donne lavoravano nelle campagne (e duramente), nel terziario o come insegnanti nelle scuole, solo per fare alcuni esempi. Con lo scoppio poi della Seconda guerra mondiale  lo scenario del lavoro femminile cambiò ulteriormente.

Come si vedrà il progetto fascista non si realizzerà mai del tutto. Se è vero che nei primi tempi le organizzazioni create ebbero un certo fascino sulla gioventù, il consenso totale e incondizionato non ci fu mai. Giocare alla guerra, indossare le divise, poter maneggiare un fucile vero (questo almeno per i maschi) ben presto si trasformarono in attività ripetitive e noiose. Sono stati registrati spesso problemi di assenteismo e disciplina. E anche tutto il progetto del fascismo, cioè quello di formare coloro che sarebbero diventati i soldati “perfetti”, fallì. I ragazzi italiani che sin da piccoli furono inquadrati nelle organizzazioni fasciste e che poi parteciparono alla Seconda guerra mondiale non furono più esperti nonostante l’educazione premilitare ricevuta fin dalla giovanissima età.

Spunti di approfondimento:

1. Hai mai portato una divisa? In quale occasione? Come ti sei sentito?

2. Immagina di tornare indietro nel tempo. Un sabato del 1930… come si sarebbe svolta la tua giornata? 

3. Sfoglia l’album di fotografie dei tuoi nonni o bisnonni. Ci sono delle foto che li ritraggono mentre fanno sport? Che attività sportiva praticavano? Cosa è cambiato?

Foto di copertina: Archivio Luce, Reparto Attualità, servizio fotografico n. 230 del 10.05. 1932, “Mussolini, affacciato al balcone, mostra libro e moschetto sotto lo sguardo di Starace e Giuliano”.

Bibliografia

Ben – Ghiat Ruth, Gruppi universitari fascisti (Guf), in Dizionario del fascismo, I, Torino, Einaudi, 2003, 640-642.

Gentile Emilio, Il culto del Littorio, Roma-Bari, Editori Laterza, 1995.

Gentile Emilio, Fascismo, Storia e interpretazione, Roma-Bari, Editori Laterza, 2002.

Gibelli Antonio, Gioventù italiana del Littorio (Gil), in Dizionario del fascismo, I, Torino, Einaudi, 2003, 598-600.

Gibelli Antonio, Opera nazionale balilla (Onb), in Dizionario del fascismo, II, Torino, Einaudi, 2003, 267-271.

Pericoli Ugo, Le divise del duce, Milano, Rizzoli editore, 1983.

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