di Gianmarco Mancosu
Nell’archivio di celluloide prodotto a supporto dell’espansionismo italiano e conservato presso l’Archivio storico dell’Istituto Luce Cinecittà c’è un titolo che, forse più di altri, è in grado di riassumere le numerose vicende legate alla costruzione degli immaginari cinematografici sull’oltremare tra colonialismo e decolonizzazione. Si tratta di Aethiopia, resoconto filmico della spedizione che il giornalista, autore ed esploratore Guelfo Civinini compì tra l’Eritrea e il cuore dell’altipiano etiopico tra il 1923 e il 1924 (fig. 1). In poco più di 15 minuti il film offre un campionario di immagini “esotiche” e descrizioni pseudo-scientifiche sul Corno d’Africa che, sebbene intonati alla produzione documentaristica a carattere etnografico ed esplorativo del tempo, divennero rilevanti perché segnarono la nascita ufficiale dell’Istituto Luce e anche una svolta più decisa nella politica espansionistica del fascismo.

Luciano De Feo, deus-ex-machina dell’Istituto Luce e della cinematografia educativa del ventennio, esaltò Aethiopia descrivendolo come «ammonimento agli italiani di pensare alla politica d’oltremare, alle necessità imperiali d’espansione». Questa frase apparve nella rivista «Lo Schermo» nel luglio 1936, quando cioè l’Italia era in preda all’euforia suscitata dalla dichiarazione dell’impero del maggio precedente: il documentario sulla spedizione Civinini fu quindi letto a posteriori come precursore del desiderio imperiale dell’Italia fascista. Vicenda ben più curiosa legata a questo filmato avvenne più di un decennio dopo, nell’estate del 1950. Allora, il quasi ottantenne Civinini si rivolse al Ministero dell’Africa italiana – il vecchio Ministero delle Colonie – affinché supportasse l’idea di una nuova versione di Aethiopia, composta dal negativo originale da sonorizzare e da due nuove sezioni: la prima doveva mostrare la colonizzazione italiana usando il materiale filmico del Luce prodotto durante gli anni dell’Africa Orientale italiana; nell’altra, Civinini voleva inserire alcune scene riprese al Museo dell’Africa italiana, all’epoca ancora operativo. Il Ministero accettò l’iniziativa, offrendo piena disponibilità politica e logistica.
Nonostante questo supporto istituzionale, una riedizione di una versione aggiornata del documentario del 1924 non fu realizzata. Tuttavia, la richiesta fatta da Civinini e accolta dal Ministero ci rivela che la decolonizzazione italiana sia stata un processo politico e culturale pieno d’ambiguità. Primo elemento degno di nota è l’indirizzo di destinazione della richiesta, ovvero il Ministero dell’Africa italiana, che fu operativo fino al 1953. Ciò non deve sorprendere: sebbene i possedimenti italiani furono persi a seguito di sconfitte militari che avvennero tra il 1941 nel Corno d’Africa e il 1943 in Libia, almeno fino ai tardi anni Quaranta i Governi di unità nazionale e poi quelli a guida DC cercarono di ottenere l’amministrazione dei territori conquistati prima della guerra fascista in Etiopia. Per perorare questi sforzi diplomatici, che culminarono con la concessione all’Italia dell’amministrazione fiduciaria della Somalia (1950-1960), la classe dirigente iniziò a costruire un ricordo autoassolutorio e positivo del passato coloniale. Alla formazione di questa memoria parziale contribuirono attivamente tutta una serie di prodotti audiovisivi che ebbero una circolazione notevole nell’Italia del dopoguerra. Stiamo parlando dei cortometraggi a carattere informativo, prevalentemente cinegiornali ma anche brevi documentari, nei quali si raccontavano al grande pubblico gli sforzi diplomatici in atto e si esaltavano le supposte virtù degli italiani che operarono nelle ormai ex-colonie. Sebbene i primi governi post-fascisti smantellarono gli istituti di propaganda del ventennio, l’Istituto Luce non fu dismesso, e riiniziò ad operare con la serie Notiziario Nuova Luce: nonostante la sua breve vita, in essa si respira il clima politico conciliatorio dei Governi d’unità nazionale nonché la volontà di mantenere una forma di controllo governativo sull’informazione cinematografica. Alcuni notiziari Nuova Luce (ad esempio i numeri 14, 18, 20) dedicarono dei servizi all’attività diplomatica italiana alla conferenza della Pace di Parigi, parlando apertamente di decisioni vessatorie da parte delle potenze vincitrici e accomunando la perdita delle colonie a quella dei territori del confine nord-orientale. Inoltre, da questi frammenti filmici emerge che nell’immediato dopoguerra e almeno fino ai tardi anni Quaranta sostanzialmente tutto l’arco parlamentare appoggiava le rivendicazioni sulle ex-colonie.
Ancora più interessante è vedere come l’Industria Cortometraggi Milano (INCOM), compagnia formalmente privata ma controllata dai governi DC, abbia trattato la questione delle ex-colonie nella sua famosissima serie La Settimana INCOM. Questa di fatto prese il posto dei Giornali Luce quale testata d’informazione filmica prediletta dagli italiani. Sebbene il mercato dell’informazione cinematografica fosse formalmente libero, l’appoggio palese del governo rese la Settimana INCOM la cassa di risonanza prediletta per mostrare la ricostruzione sostenuta dal piano Marshall, la modernizzazione capitalistica del paese e l’avanzare della società dei consumi. Anche per quanto riguarda la politica estera, questi cinegiornali mostrarono l’Italia come collocata saldamente nel blocco atlantico. Tuttavia, proprio nel raccontare le vicende della decolonizzazione emerse sia un certo risentimento verso i paesi vittoriosi, nelle cui mani era il destino delle ex-colonie, sia un’immagine positiva della presenza italiana in quelle terre.
Sono circa cinquanta i filmati INCOM che tra il 1947 e il 1964 si occuparono di Libia, Eritrea, Somalia ed Etiopia. Nei servizi si parla, tra le altre cose, degli sforzi diplomatici portati avanti alla Conferenza di Parigi, delle opere agricole e infrastrutturali realizzate in Africa, della strage di Mogadiscio del gennaio 1948 in cui morirono diverse decine di italiani e di somali, dell’Amministrazione fiduciaria della Somalia. Gran parte dei servizi rimarcano il fatto che gli ex-sudditi coloniali sarebbero felici di accogliere l’Italia quale guida nel percorso verso l’indipendenza e la modernizzazione (che tuttavia veniva intesa sempre nei canoni prefigurati degli ex-colonizzatori). Curiosamente, per costruire questi servizi si ricorse spesso al negativo girato anni prima dall’Istituto Luce durante la stagione coloniale fascista: montato in maniera differente e abbinato a nuovi testi intonati alla diversa situazione politica, quel materiale doveva essere prova filmica del presunto lavoro “civilizzatore” e del carattere generoso che guidò l’azione degli italiani in Africa nel passato, e che li avrebbe guidati anche nel futuro.
Uno dei filmati più significativi sulla travagliata perdita delle colonie fu un servizio apparso nella Settimana INCOM n. 192 (settembre 1948) e intitolato Il problema coloniale. Testimonianze della nostra civiltà in Africa. Le prime scene sono girate nelle stanze cupe del Quai d’Orsaya Parigi, dove erano in corso le trattative per la sistemazione definitiva di Libia, Eritrea e Somalia. Dopo queste sequenze, l’atmosfera cambia: si passa al racconto della visita al Museo Coloniale del Sottosegretario Brusasca (fig. 2) mentre la voce fuori campo afferma che «se i quattro [ministri delle potenze vincitrici] volessero venire a Roma, Brusasca potrebbe condurli al Museo Coloniale: parlerebbero per noi i nostri pionieri d’Africa». Seguono poi inquadrature su oggetti, plastici e illustrazioni chiamate a rendere tangibile la retorica dell’operosità e dell’intraprendenza degli italiani su cui si basò la strategia diplomatica dei governi italiani.

Questo filmato, a ben vedere, segue nella struttura quanto avrebbe voluto fare Guelfo Civinini nella sua riedizione di Aethiopia, mostrando gli aspetti positivi della colonizzazione e utilizzando le tracce materiali di quel passato per corroborare quest’interpretazione. Le riprese effettuate al Museo dell’Africa italiana a degli oggetti sovente sottratti con la violenza alle popolazioni africane sono un richiamo alla dimensione materiale della memoria coloniale, che assume una dimensione ancora più potente quando mediata e raccontata da immagini in movimento e da suoni che invasero le sale cinematografiche di tutta Italia. In altri termini, nell’Italia del dopoguerra questi filmati cercarono di dare un nuovo significato alle eredità tangibili del passato coloniale, e per fare ciò venne spesso usato materiale filmico proveniente proprio da quel passato. Questo lavorio incessante di censura e bonifica delle eredità del colonialismo attraverso l’uso dei suoi immaginari ha di fatto impedito una presa di coscienza critica su come la cultura di massa abbia recepito e digerito la stagione coloniale. Per questa ragione, per parlare compiutamente di memoria del colonialismo è necessario recuperare una prospettiva quasi archeologica, capace di scandagliare nelle vicende attraverso cui gli immaginari autoassolutori e acritici si siano formati e diffusi anche in prodotti audiovisivi apparentemente neutrali e ammantati d’oggettività. In questo modo, i materiali conservati presso l’Archivio Luce possono diventare strumenti imprescindibili non solo per conoscere e “vedere” il passato, ma per leggerlo criticamente in modo da capire come esso continui a influenzare il presente della nostra società.