ITALIA ’61: UN DOCUMENTARIO NEL CUORE DEL BOOM ECONOMICO

a cura di Andrea Scappa

Nel primo pomeriggio di domenica 17 ottobre, nella Sala Argento del Lingotto Fiere, all’interno della XXXIII edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, ritornato dal vivo dopo la parentesi virtuale imposta dalla pandemia, c’è stata la prima occasione pubblica per presentare Italia ’61. Il festival del miracolo, documentario realizzato da Istoreto – Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti” di Torino e dall’Archivio Storico Luce.

Il contributo audiovisivo, suddiviso in sei capitoli, sceglie di raccontare Italia ’61, evento ricco di attività che si svolge a Torino tra il maggio e l’ottobre del 1961 con l’obiettivo di celebrare il centenario dell’Unità d’Italia, e il boom economico, al suo apice nel nostro Paese, che gli ruota intorno tra luci e ombre. La sua finalità è didattica e invita docenti, studenti e curiosi a partire dagli aspetti storici che tratta, poco o per nulla considerati nei programmi scolatici, per sviluppare ulteriori percorsi di ricerca e di approfondimento.

Accanto alla visione del documentario, disponibile dallo scorso settembre sui canali YouTube dei due Istituti coinvolti, Giovanni De Luna e Riccardo Marchis, Patrizia Cacciani, Enrico Miletto, Barbara Berruti, alcuni componenti del gruppo di lavoro, hanno parlato degli aspetti riguardanti la metodologia, i contenuti e le chiavi di lettura di alcuni passaggi del prodotto filmico.

Riccardo Marchis introduce l’incontro, sottolineando in che modo lo sguardo di giornalisti, scrittori e intellettuali si è posato su Italia ’61 e ha generato giudizi, a volte anche contrastanti. C’è Giovanni Arpino che su «La Stampa» l’ha definita un’astrazione, chi ci ha visto un’autorappresentazione ottimistica del nostro Paese, un modo per l’Italia di mostrarsi al modo, e chi invece, ad esempio Italo Calvino, l’ha interpretata negativamente come un esercizio retorico degli italiani organizzatori di centenari. Ovviamente Italia ’61 ha rappresentato tutto questo. E a proposito di immaginario Marchis ci tiene a sottolineare che, durante la realizzazione del documentario, tutto il gruppo ha avuto in mente molti film dell’epoca. Su tutti quelli di Dino Risi, come Il sorpasso, uscito nel 1962 e L’ombrellone di tre anni più tardi.

A seguire prende la parola Giovanni De Luna che suggerisce di leggere le immagini del documentario «con gli occhi di oggi perché gli occhi di ieri sono quelli più facili» e ci conducono ad un’analisi un po’ scontata del boom economico, infarcito di superfluo e consumi compulsivi. Quello che deve colpire allora è ciò che non esiste più ai giorni nostri, dato che «Italia ’61 è conficcata nel cuore del Novecento e del Novecento è rimasto poco o niente». Prima di tutto la grande fabbrica fordista, Mirafiori, un concentrato di manodopera che era una città nella città e che scandiva i ritmi di Torino. Poi l’idea di un’Europa federale, dell’Unione Europea, del Mercato comune, che trovava proprio le prime spinte per una sua creazione nel segno della pace grazie agli organismi nati a ridosso di Italia ’61, è scomparsa o comunque si è scolorita, sotto i colpi dei nazionalismi attualmente imperanti. Non resta traccia nemmeno della guerra fredda. De Luna evidenzia che Italia ’61 è inconcepibile senza la guerra fredda. Il 1961 è l’anno di Gagarin nello spazio e della costruzione del muro di Berlino, tappe fondamentali della guerra fredda, in cui l’Italia peraltro è protagonista di un atto di distensione proprio in quegli anni.

Infine l’attenzione dello studioso si sofferma su uno dei capitoli del documentario, quello sulla Mostra delle regioni, in cui si parla di un’unità d’Italia fatta come un muro, costruito mattone dopo mattone, che dal 1861 si è realizzata negli eventi e nelle fasi successive con un lungo processo storico. A quell’altezza cronologica del resto il dibattito culturale era animato dalla questione meridionale, dall’intervento dello Stato al Sud, dal ruolo che dovevano avere le Casse del Mezzogiorno. Un’ultima nota di De Luna è riservata alla definizione della Resistenza come secondo Risorgimento, posta nell’ambito di Italia ’61, «una definizione che presenta molte ingenuità, una ricostruzione anche un po’ retorica che noi storici abbiamo sempre contestato, molto legata alla costruzione di un pantheon della patria. Questa interpretazione però è anche il tentativo, pur nel momento di massimo splendore della nostra economia, di sottrarre gli interessi alla materialità oggettiva della loro realtà e trasformarli anche in valori. Nella proposta della Resistenza come secondo Risorgimento c’è una cosa da salvare e cioè i morti della Resistenza sono messi insieme ai padri della Patria, Vittorio Emanuele, Garibaldi, Mazzini e Cavour. Ecco, questa intuizione di immaginare che ci possa essere una religione civile, quindi un patto di cittadinanza stretto tra gli italiani, nel nome di chi ha dato la vita per la Resistenza, per riconquistare la libertà, è fondamentale. Questa lezione è da indicare oggi come centrale poiché siamo abituati a una democrazia avvilita come pratica di governo, fine a se stessa. Ecco, una democrazia è qualcosa per cui vale la pena di combattere e morire. Credo che questa democrazia così piena di passioni e di seduttività possa essere un’esperienza da tenere a noi cara».

Patrizia Cacciani pone l’accento sulla tipologia di filmati dell’Archivio Storico Luce usati per il documentario: i cinegiornali e i documentari della Incom. In particolare, «La Settimana Incom» è un cinegiornale, rotocalco di costume, politica e informazione, proiettato nelle sale cinematografiche e prodotto dal 1946 al 1964 fino all’entrata del telegiornale RAI nelle case degli italiani. Passando poi ad osservare le immagini montate nel contributo audiovisivo, Cacciani fa notare che quelle dell’Esposizione di Italia ’61 sono caratterizzate da una grande accelerazione, in esse è molto presente il movimento, la musica di accompagnamento e la parola dello speaker hanno un ritmo sostenuto. Quando invece i filmati raccontano le contraddizioni, cioè ad esempio gli elementi che riguardano la povertà, si assiste a una sorta di rallentamento, a una sintesi tra parola e immagine, dove non c’è altro modo di leggerle se non come negazione dell’innovazione, del cambiamento e dei consumi.

Enrico Miletto invece si concentra sulle altre varie fonti individuate, interrogate ed elaborate per il lavoro. Vanno menzionati gli articoli tratti da numerosi quotidiani, tra cui «l’Unità» che è stato uno dei pochi a dare uno sguardo critico su Italia ’61 e a parlare del padiglione sovietico. Poi tutta una serie di materiali tra cui due densi cataloghi della mostra e quanto emerso dalle collezioni private, di cui lo studioso ricorda quella di Flavio Febbraro, scomparso nel 2019 e a cui il documentario è dedicato, che aveva conservato con grande cura molti dei manifesti e degli opuscoli della mostra visitata da bambino. Inoltre Miletto segnala che nel corpus documentario compaiono anche «la memorialistica, la letteratura. Calvino e Arpino, ma ci sono anche Luciano Bianciardi e Lucio Mastronardi. Abbiamo cercato di creare un percorso interdisciplinare tra le varie fonti, unendo i fatti legati a Torino e alla mostra con quelli dell’Italia e del mondo intorno».

In conclusione Barbara Berruti decide di parlare degli ultimi due capitoli del documentario, quelli relativi all’Esposizione, nello specifico alla Mostra delle regioni e alla Mostra storica. La Mostra delle regioni offre una rappresentazione folcloristica e stereotipata delle regioni. Delle regioni si vedono soprattutto costumi e cibi tipici o i monumenti che ci si immagina debbano essere rappresentati, quasi un album di figurine. Berruti afferma che però, all’interno di questa mostra, c’è una cosa che colpisce, Lucania 61, un’opera pittorica di grandi dimensioni, commissionata a Carlo Levi. Il quadro, in qualche modo «un urlo su tutto il Sud dolente, rappresenta il dolore della povertà, la vita tutta destinata al lavoro e anche tutta una speranza di riscatto e una politica che non arriva mai». Lucania 61, facendo eco al capitolo del documentario dedicato all’immigrazione, restituisce le contraddizioni che attraversano lo Stivale in quel momento, forti ondate di solidarietà ma anche un divario enorme tra Nord e Sud.

Per quanto riguarda la Mostra storica lo spazio dato ai nodi irrisolti della storia italiana nel Novecento, alle questioni che riguardano il colonialismo, il fascismo e la resistenza, è marginale o del tutto assente. Rispetto a tali questioni Berruti fa riferimento ad alcuni momenti del documentario, per esempio il discorso pubblico che il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, arrivando a Torino nel settembre del 1961, fa in occasione di una grande manifestazione dei fanti d’Italia e nel quale elogia la partecipazione dei fanti di tutte le guerre, anche le guerre coloniali, dicendo ad un certo che «nell’anima del nostro combattente, del nostro fante, queste guerre furono quasi un modo di portare civiltà e benessere in paesi arretrati, civiltà e benessere che ancora non conoscevano». Ovviamente è una lettura che oggi suona inaccettabile, ma ci parla di un’Italia che non ha fatto ancora i conti con il proprio passato e le proprie responsabilità di Paese fascista e aggressore. L’ultimo aspetto che la studiosa illumina riguarda la Resistenza come secondo Risorgimento, una Resistenza rappresentata comunque ancora come un momento in cui si ricordano gli eroi, i morti, coloro che si sono sacrificati. Berruti sostiene quanto «questo sia strano perché nel 1960, un anno prima, c’erano stati i fatti di Genova, si era aperta una nuova stagione nello spazio pubblico, c’era stato un antifascismo militante, che per la prima volta, dopo tanto tempo, aveva invaso le piazze. Ecco, di questo antifascismo militante a Italia ’61 nella Mostra storica non c’è nessuna traccia». Lo stesso Alessandro Galante Garrone, che visita la mostra, nel suo pezzo per «La Stampa» ben sintetizza il cuore del problema così: «il Risorgimento non è un recipiente in cui si possa versare qualunque liquido, è una tradizione a cui ci si deve richiamare per ricavare norme di giudizio e incentivo all’azione».

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