di Patrizia Cacciani
Il 24 giugno 1919 viene istituita la “Commissione nazionale per le onoranze ai militari d’Italia e dei paesi alleati morti in guerra”, Onorcaduti[1], con a capo Armando Diaz, per la gestione dei cimiteri di guerra e delle sepolture dei caduti, in Italia o all’estero. Il primo atto che porterà alla istituzione della Festa nazionale del 4 novembre con la deposizione, il 4 novembre 1921, del Milite Ignoto nell’ara dell’Altare della Patria a Roma.
Il culto dei caduti, con il Milite Ignoto che tutti li rappresenta, riguardò diversi aspetti della vita pubblica e privata degli italiani: il ricordo, la memoria, il sentimento generale furono così potenti da investire le istituzioni e l’opinione pubblica. La storia, l’arte, la sociologia e la legislazione furono strumenti della cultura di un’epoca, anche quella della deriva autoritaria.
Il regio decreto n.1386 del 22 ottobre 1922, all’articolo 1[2], dichiara monumentali quattro zone che sono state campi di battaglia durante il primo conflitto mondiale: monte Pasubio, monte Grappa, monte Sabotino, monte San Michele per la “…consacrazione nei secoli della gratitudine della Patria verso i Figli che per la Sua grandezza vi combatterono epiche lotte nella guerra di redenzione 1915-1918…”.
Tali zone saranno poste sotto la sorveglianza (delimitazione, custodia, conservazione) del Ministero della Guerra, prevedendo da subito uno stanziamento di duecentocinquantamila lire per la sistemazione delle strade di accesso, per la predisposizione di stele, per le tombe dei caduti.
La relazione del primo ministro Luigi Facta, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, racconta come quei luoghi entreranno nella narrazione della Grande Guerra: “Impersona il Pasubio la strenua difesa del fronte irridentino, il Grappa l’incrollabile resistenza del fronte italico fra monti e mare, il Sabotino ed il san Michele il calvario dei primi anni della nostra guerra…”. Il documento prosegue dando indicazioni su quali forme e contenuti dovranno avere le opere che renderanno viva e continua la memoria del sacrificio: “L’austerità del gesto artistico deve essere legge in materia… essi soltanto parlano la voce alta della guerra e del sacrificio vero. E sono rami di trincea testimoni della lotta dura, caverne nelle quali si fucinò vigilie il raggio della Vittoria, calvari di monti, mete di poggi sanguinanti, capisaldi di azione e di reazione nell’ultima vicenda della guerra aspra e tremenda… tutte queste vestigia debbono essere consacrate e rivendicate nelle loro fattezze derivate dalla stessa guerra, senza altro suffragio di speciali opere d’arte che alienerebbero l’austerità del volto eroico”.
Ultimo atto del governo presieduto da Luigi Facta, poiché il 31 ottobre 1922, Vittorio Emanuele III, a conclusione della Marcia su Roma delle camicie nere, incaricherà Benito Mussolini di formare un nuovo governo.
Il generale Giuseppe Paolini, medaglia d’oro al valore militare nel 1915 per una azione ardimentosa in cui fu ferito quattro volte, è il responsabile della sistemazione dei cimiteri sul Carso. Aveva combattuto a Sei Busi, a Redipuglia e Fogliano e volle in questo luogo creare un cimitero monumentale per ricordare tutti i soldati caduti.
Il Duca Emanuele Filiberto Savoia Aosta[3], chiamato il “Duca Invitto” per la strenua difesa sul Piave dopo Caporetto, aderisce all’iniziativa e il sacrario prende il nome di Cimitero degli Invitti della IIIA Armata, la prima necropoli della Grande Guerra in quel di Colle Sant’Elia.
Per il suo grande valore simbolico, viene scelta l’altura che si trova ad est del Colle perché è di fronte al ciglione del Carso dove si svolsero numerose battaglie.
La collina ha forma ascendente e concentrica. L’altura viene modellata in sette balze concentriche, come i gironi danteschi del Purgatorio, con lo spazio diviso in sette settori a forma circolare, separati da vialoni che discendono a raggiera.
La cima della collina ospita un monumento crocifero eretto sopra ad una cappella votiva sormontata da un obelisco a forma di faro da cui si dipartono fasci di luce. La cappella è decorata con affreschi dolenti, tra cui il fante morente nelle braccia di Cristo, che rimanda alla ascesa del monte Calvario, opere di Giuseppe Ciotti.
Due anni di lavoro per sistemare l’area che accoglie: 30.000 caduti, di cui 23 medaglie d’oro, 4 generali e 6.000 militi ignoti. Le tombe erano ornate da effetti personali rinvenuti sui campi di battaglia e da epigrafi dettate dallo scrittore e senatore Giannino Antona Traversi. Non fiori, non alberi, nessuna ombra perché non c’è il verde, ma il sassoso e brullo Carso. Come le tombe improvvisate dei caduti che venivano seppelliti sotto cumuli di pietra dai commilitoni, in tutta fretta. Le scarne epigrafi ci parlano di un esercito di piccole cose, di tradizione rurale, di giornali di trincea, del nome più invocato, la madre.
Il cimitero monumentale fu inaugurato il 24 maggio 1923 da Benito Mussolini alla presenza del Re Vittorio Emanuele III e del Duca Emanuele Filiberto Savoia Aosta.
Il fascismo cambia registro: detta nuovi standard estetici e di contenuto. Il tono è nazionalistico e militaresco. Le nuove linee guida prevedono la realizzazione di parchi della rimembranza, sacrari, ossari. Per ogni caduto della Grande Guerra dovrà essere piantato un albero secondo quanto stabilito dalla circolare n. 73 del 27 dicembre 1922 del Ministero della Pubblica Istruzione a firma del Sottosegretario di Stato Dario Lupi e inviata a tutti i regi Provveditori agli Studi[4].
Tra i documenti fotocinematografici dell’Archivio Storico Luce, prodotti dall’Istituto nazionale LUCE, bianco e nero, muto, prima della realizzazione del Sacrario nazionale di Redipuglia, ci sono quattro documentari con le visite al cimitero di giovani orfani e avanguardisti dell’Opera Nazionale Balilla – siamo nel 1931 ed il coinvolgimento dei giovani da parte del fascismo denota il forte valore pedagogico – nonché di quindicimila lavoratori milanesi, due servizi di giornale Luce, il primo è una sintesi del documentario sui lavoratori milanesi, il secondo insieme al servizio fotografico riguardano la deposizione del Duca Invitto nel monumento sulla cima del colle[5].
Il servizio fotografico è incentrato sulla salma, sulla famiglia, sul Re, sulle autorità militari e sulla grande folla che partecipò. Poco spazio viene dato al racconto del luogo. Pertanto, per scoprire come il Cimitero degli Invitti della IIIA Armata su colle sant’Elia fosse, sono adatte le immagini in movimento dei documentari e giornali Luce.
Il territorio in cui si trova la necropoli è all’interno del comune di Fogliano Redipuglia. Il paese e le case coloniche si intravvedono a distanza mentre si svolgono le visite. Un pennacchio di fumo, di una locomotiva, quasi impercettibile, si vede in lontananza nella parte del fondo valle.
L’equilibrio visivo del cimitero in questo contesto raccoglie le istanze del presidente Luigi Facta. La natura eroica e dolorosa del luogo naturale e del luogo antropico è in perfetta sinergia tra le due forme.
La necropoli faceva parte integrante del paesaggio. Del resto, la guerra aveva disseminato sul territorio corpi, oggetti, animali. I sassi li avevano custoditi prima ancora che la gerarchia ed il potere decidesse di farne strumento di propaganda.
I cimiteri di guerra sono considerati dal fascismo un punto centrale della narrazione della vittoria e del valore guerriero della nazione. Quei piccoli luoghi di riposo e pace, che privilegiavano una memoria collettiva fatta da tante storie individuali, lasciano il passo a sacrari, ossari, viali e parchi della rimembranza, la cui rigidità di forme e scritture, tipiche dell’ideologia razionale fascista, ha il compito supremo di stupire e rendere tutto impersonale nella grandiosità: spersonificare e mitizzare! In questo modo il fascismo si appropria dell’eredità storica e della memoria dei caduti della Grande Guerra.
Dopo lo smantellamento del Cimitero degli Invitti della IIIA Armata e il trasferimento delle salme nel Sacrario Militare di Redipuglia, il Colle Sant’Elia divenne Parco della Rimembranza.
La sistemazione originale trova nei cippi lungo la scalinata ed attorno il piazzale della cima, le copie in bronzo degli oggetti personali e delle epigrafi. Gli originali sono al Museo della Grande Guerra di Gorizia, mentre le opere di Ciotti sono poste nella cappella votiva dietro l’ultimo gradone del Sacrario.
Il Parco della Rimembranza ha cipressi, siepi e prati. Luogo dove svagarsi e rievocare la propria memoria.
Sulla sommità del colle un frammento di colonna romana, proveniente dagli scavi di Aquileia, su un terrapieno erboso, celebra la memoria dei caduti in tutte le guerre, senza distinzione di tempi e di sorte.
*Il presente contributo è stato pubblicato all’interno di B. Bracco, M. Pizzo (a cura di), Milite Ignoto. Riti, istituzioni e scritture popolari, Roma, Gangemi Editore, 2021.
[1] https://www.difesa.it/Il_Ministro/ONORCADUTI/Pagine/ICommissariGenerali.aspx, Ministero della Difesa, Commissariato generale per le onoranze ai caduti in guerra.
[2] Relazione e regio decreto-legge 29 ottobre 1922, n. 1386, che dichiara monumenti alcune zone fra le più cospicue per fasti di gloria del-teatro di guerra 1915-918.
[3] https://www.treccani.it/enciclopedia/savoia-aosta-emanuele-filiberto-di-duca-d-aosta_%28Dizionario-Biografico%29/, Dizionario biografico italiani Treccani.
[4] http://alberidellamemoria.beniculturali.it/index.php?it/344/liniziativa-di-dario-lupi, Ministero della Cultura, Alberi della memoria, L’iniziativa di Dario Lupi.
[5] Giornale Luce A0811/1931, La visita dei milanesi; Giornale Luce A0813 07/1931, La deposizione della salma del Duca Emanuele Filiberto Aosta; Crociera adriatica degli avanguardisti di Padova; Opera nazionale orfani di guerra: primo pellegrinaggio; Quindicimila lavoratori milanesi in pellegrinaggio al cimitero di guerra; Redipuglia 1400 giovani fascisti; Reparto Attualità Luce – La bara di Emanuele Filiberto di Savoia posta su un catafalco durante la cerimonia nel sacrario di Redipuglia e circondata dal Re, principi, alte autorità militari, dignitari dello Stato e grande folla.