ADOLFO PORRY-PASTOREL, L’ALTRO SGUARDO

di Enrico Menduni[1]

Nasce il fotogiornalismo

Sarà per anticonformismo e spirito di iniziativa, sarà per le origini internazionali (franco-inglesi) della sua famiglia, sarà pure per un pizzico di fortuna, ma il giovane Adolfo Porry-Pastorel, classe 1888, nella Roma di inizio secolo, moderatamente ansiosa di diventare moderna, fa tutte le scelte giuste[2]. Adotta per esprimersi la fotografia in un ambiente in cui ancora le cose scritte sono quelle veramente importanti, e l’immagine poco più di un ornamento, una “illustrazione” dei concetti che solo la scrittura cesella con una precisione inarrivabile. E se di immagine si deve parlare, il peso dell’imponente tradizione artistica italiana fa sì che essa debba essere “figurativa”: una pittura o un disegno. Soprattutto se rivolta al popolo: «La Domenica del Corriere» o «La Tribuna illustrata» avranno copertine disegnate fino agli anni ’60[3]. Ma Porry-Pastorel, e qui c’è una sua ulteriore felice scelta, capisce che è proprio la stampa – nella sua componente più sensibile alle innovazioni – il vettore ideale per diffondere la ricezione della fotografia che, a differenza di altri media tecnicamente riprodotti come saranno il cinema o la radio, non dispone di una rete di diffusione propria. «Il Messaggero» (Porry frequenta la redazione a diciotto anni, grazie all’amico di famiglia Ottorino Raimondi, che ne sarà direttore) lo manda in Germania a studiare fotocomposizione, la tecnologia che permette la riproduzione delle foto sui giornali; proprio in questi anni i quotidiani romani iniziano a offrire pagine di cronaca, aprendo una nuova dimensione della fotografia[4].

Un quotidiano romano che credette e investì fin da subito nelle illustrazioni (fotografie, disegni, caricature) fu «Il Giornale d’Italia» di Alberto Bergamini. Le persone che il direttore scelse perché si occupassero nel nuovo aspetto visuale della produzione giornalistica e dell’impaginazione furono due: Eugenio Fontana, un giovane studente di ingegneria, e Adolfo Porry-Pastorel che passò nel 1908 al «Il Giornale d’Italia». «Audace fotografo precursore», acrobatico lo definirà Bergamini[5]. Ritroveremo invece Eugenio Fontana più tardi inserito nell’Istituto Luce[6].

Nel 1908 Porry-Pastorel, ventenne, è dunque fotografo de «Il Giornale d’Italia» di Alberto Bergamini e lavora anche per «La Voce», ora diretta da Ottorino Raimondi. Qui c’è la terza mossa vincente del giovane fotografo: non si accontenta del contratto con i giornali, ma fonda un’agenzia fotografica propria, con il nome che è tutto un programma: “V.E.D.O. – Visioni Editoriali Diffuse Ovunque” in quello stesso 1908. Una decisione imprenditoriale di stampo europeo, in anni in cui Vincenzo Carrese, che fonderà Publifoto, e Federico Patellani, il fotografo protagonista dei futuri rotocalchi, non sono ancora neanche nati. Gestire VEDO significa avere un piede dentro e uno fuori nell’establishment giornalistico e politico, tessere autonomi rapporti internazionali di interscambio di immagini e tratti stilistici[7], disporre di giovani collaboratori e allievi, e affermare una capacità propria di generare eventi fotografici, invitando i cittadini a collaborare. «Telefonare subito 16 66 – fotografa ovunque tutto» c’è scritto sui gadget promozionali dell’agenzia VEDO: un appello alla gente comune.

Archivio Storico Luce, Fondo Pastorel. Il re sale in automobile, Roma, 31 maggio 1922.
Il lato B del sovrano

Con queste premesse, la fotografia di Porry-Pastorel è un testo indipendente, non un’illustrazione che convalida visivamente quanto è scritto nell’articolo. È un altro testo, conseguenza di un altro sguardo che mette in luce, ovunque possibile, il lato non convenzionale degli eventi, ciò che può sfuggire a un resoconto ufficiale o a un’occhiata superficiale. Di una cerimonia al Milite Ignoto, con prevedibili corone d’alloro e soldati sull’attenti, Porry-Pastorel fotografa l’epilogo: il governatore di Roma Filippo Cremonesi e vari notabili scendono la scalinata in ordine sparso, con l’aria di chi ha finito le sue incombenze ed adesso pregusta la giornata festiva. Del piccolo re Vittorio Emanuele III mostra il lato B, mentre il sovrano sale in vettura ossequiato da notabili e attendenti più slanciati di lui; e anche il duce – un rapporto complicato, come diremo fra poco – lo vediamo di schiena mentre sovrasta un’adunata allo Stadio dei marmi, su un piedistallo di legno maliziosamente mostrato nella foto. C’è una cerimonia papale a San Pietro, e Porry-Pastorel ritrae la popolana che affitta sedie pieghevoli ai pellegrini invece del papa benedicente. Queste sono interpretazioni d’autore, e infatti Porry-Pastorel chiede e spesso ottiene che appaia sul giornale la paternità della foto: un privilegio di firma che i fotografi – come i doppiatori nel cinema – hanno conquistato con grande fatica e molto tempo dopo. Forse perché anch’essi erano considerati meri “doppiatori della realtà”: copisti, non artisti.

Archivio Storico Luce, Fondo Pastorel. L’aviatore con il cagnolino, 18 febbraio 1920.
L’aereo da guerra è un caccia militare SVA 5, ma la presenza del cagnolino ridimensiona ogni possibile militarismo

Porry-Pastorel è già un fotografo affermato quando la Prima guerra mondiale spacca l’Italia in due, tra neutralisti e interventisti. Un mese prima dell’entrata in guerra dell’Italia, Benito Mussolini transitato dal socialismo all’interventismo parla in una manifestazione non autorizzata nel centro di Roma. È arrestato in strada da agenti della Questura in borghese e Porry-Pastorel è pronto a scattare una foto che «Il Giornale d’Italia» pubblicherà in prima pagina[8]. Foto celebre e spesso riprodotta in forma ritagliata da stampe positive, il cui negativo sembrava smarrito per sempre. È stato invece fortuitamente ritrovato alla vigilia dell’inaugurazione della mostra romana (le mostre sono sempre un’occasione per migliorare la nostra conoscenza e fare inattese scoperte) nell’archivio dell’Istituto Luce: dove non avrebbe dovuto essere, collocata – forse nascosta – dentro un gruppo di lastre fotografiche di argomento più banale, provenienti dall’agenzia VEDO.

Archivio Storico Luce. Arresto di Mussolini in un comizio interventista, Roma, 11 aprile 1915. Un’istantanea moderna, capace di fermare il movimento

Questa foto sarebbe all’origine della “ruggine” tra il futuro duce e Porry-Pastorel: uno storytelling nato da un articolo dello stesso giornale del 1924[9] e più volte citato. L’episodio sembra invece testimoniare un rapporto o un «sentimento doppio di attrazione e repulsione» del bulimico duce nei confronti della fotografia e del giornalismo: una «familiarità scontrosa» tra i due[10]. Vi sono foto di Porry-Pastorel in cui Mussolini, sempre con la faccia seria quando non truce, sorride amichevolmente al suo fotografo. Ve ne sono altre in cui Porry-Pastorel è ammesso a cerimonie e riti familiari dei Mussolini o riprende da vicino conversazioni private del duce: situazioni poco compatibili con una ostilità del dittatore.

Archivio Storico Luce, Fondo Pastorel. Squadristi, 1922

Porry-Pastorel fotografa la marcia su Roma e il raduno fascista di Napoli che la precede e costituisce una grande photo opportunity dello squadrismo nel suo esibizionismo eclettico, grottesco e minaccioso[11]. Inquadra i volti dei gerarchi e dei gregari, ma anche le violenze contro i giornali e le sedi degli avversari; documenta l’aggressione al deputato comunista Misiano, particolare bersaglio dell’odio fascista perché ritenuto disertore durante la Prima guerra mondiale[12], condotto nel corteo fascista con un cartello al collo, come una preda di guerra.

Non c’è però solo la politica e il conflitto; nelle sue foto c’è di tutto: la bella vita delle classi elevate tra ippodromi, teatri e caffè, il mondo urbano degli umili (seggiolai, venditori di giornali, mendicanti) e una vera passione per la tecnologia: automobili, motociclette, aeroplani, dirigibili. Ma anche la moda, la cronaca nera, il teatro e il cinema[13].

Archivio Storico Luce, Fondo Pastorel. Signora in bicicletta, 21 aprile 1920

Il delitto Matteotti (10 giugno 1924) turba profondamente chi aveva sperato in una possibile continuità tra fascismo e stato liberale. Dopo un appassionato intervento contro il fascismo alla Camera (30 maggio) il deputato socialista Giacomo Matteotti fu rapito e ucciso. L’eco del delitto fu enorme; il corpo martoriato fu ritrovato nella campagna romana solo due mesi dopo, mentre le indagini giunsero a una squadra fascista molto vicina a Mussolini. Il delitto Matteotti è il primo grande evento seguito mediaticamente dalla fotografia, ma anche l’ultimo, prima che il regime cancellasse la libertà di stampa con un decreto legge dell’11 luglio, quando il corpo del parlamentare socialista non è ancora stato ritrovato, e poi con le “leggi fascistissime”[14]. Porry-Pastorel consegnò alla vedova, Velia Matteotti, il suo ampio servizio che riemerse solo dopo la Liberazione[15]. Soltanto due di queste foto comparvero anonime su «Il Giornale d’Italia», certo non le più crude[16]; altre immagini, con la firma di Porry, comparvero su «L’Illustrazione italiana»[17] e su «Il Foto-Giornale», interessante quindicinale illustrato torinese, subito chiuso[18].

Nel ventennio fascista

Intanto, dal 1924, nasce e si consolida l’Istituto Luce[19]. All’inizio una società privata, fondata dal giornalista Luciano De Feo, promotore del SIC (Sindacato Istruzione Cinematografica) ma ribattezzato “L’Unione Cinematografica Educativa” (LUCE) per iniziativa dello stesso Mussolini, o di chi per lui compose l’acronimo “L’Unione Cinematografica Educativa”: e non sfuggirà la nota assonanza luce-duce, ma neanche la somiglianza vedo-luce. Quasi che Mussolini o chi per lui compose l’acronimo “L’Unione Cinematografica Educativa”, avesse in mente l’altro noto acronimo: “VEDO” (Visioni Editoriali Diffuse Ovunque).

Gli originali intenti educativi e scientifico-divulgativi sono presto affiancati dall’attività esplicitamente propagandistica, quando l’anno successivo diventa l’Istituto Nazionale Luce, ente morale di diritto pubblico[20]. Un percorso, da società privata ad agenzia governativa, che sarà proprio di anche di un altro medium di massa, la radio[21]. Del resto già La “Battaglia del grano” dell’estate 1925 – anticipazione sia delle bonifiche sia dell’autarchia – mostrava la vocazione del nascente regime a procedere per campagne fortemente mediatizzate, con l’esigenza di dotarsi di strumenti tecnicamente idonei di diretta emanazione governativa e proiettati anche sui “nuovi media” dell’epoca. In molti Stati europei e negli Stati Uniti sono largamente diffusi i cinegiornali[22]; nel giugno 1927 nascerà il cinegiornale Luce, da proiettarsi obbligatoriamente in tutti gli spettacoli cinematografici.

Anche il reparto fotografico del Luce è costituito nel 1927 e inizialmente opera «con mezzi modesti e per poche riprese, tutte a Roma»[23]. Si svilupperà progressivamente ma non avrà mai il monopolio di cui godeva l’informazione cinematografica dell’Istituto: le immagini, spesso con tampone “LUCE” in calce, sono distribuite ai giornali, a cui però ne arrivano anche altre, magari dalla VEDO di Porry-Pastorel o dalle agenzie internazionali. Inoltre, i giornali dispongono di propri fotografi. Pur favorite dalla provenienza governativa, le foto Luce affrontano una concorrenza che i cinegiornali non hanno, e questo stimola professionalmente i fotografi dell’Istituto, molto più che grigi burocrati del regime[24].

Archivio Storico Luce, Fondo Pastorel. Giovanni Giolitti, Ostia, 9 maggio 1922.
La fine di un’epoca. Cinque mesi dopo, la marcia su Roma

Nell’Archivio Luce tra le foto “Attualità” ve ne sono diverse, senza indicazione di autore, che presentano affinità stilistiche con Porry-Pastorel. In un servizio Luce (10 luglio 1929) sul soggiorno estivo della famiglia Mussolini a Carpena, in Romagna, Mussolini issa sulle spalle il piccolo Romano[25], circondato dai contadini. Lo stesso ritratto, cancellati i contadini, è presente tra le foto di Porry nell’Archivio Farabola[26]. Ciò fa presumere che sia stato lui a scattare il servizio poi passato al Luce.

Il 31 gennaio 1931 il Consiglio di amministrazione dell’Istituto Luce, sotto la presidenza di Alessandro Sardi[27], acquista da Adolfo Porry-Pastorel 25 mila negativi, relativi agli anni 1921-1923, per la somma di 2.000 lire. Il materiale, purtroppo in parte disperso, è confluito nell’attuale Fondo Pastorel dell’Archivio Luce, di cui sono stati digitalizzati e resi accessibili online 1.740 negativi[28]. L’acquisto fu motivato dall’esigenza di acquisire una documentazione sui primi anni del fascismo, quando il Luce ancora non esisteva.

Sullo sfondo c’era la Mostra della rivoluzione fascista, che si sarebbe aperta nel 1932 a Roma per la ricorrenza del decennale, nell’attuale Palazzo delle esposizioni. Il Luce non intendeva essere assente da un evento rilevante, anche dal punto di vista progettuale e artistico, che vedrà la confluenza attentamente dosata di più situazioni creative, e in particolare i futuristi (Nizzoli, Pratelli, Prampolini, Dottori), gli architetti razionalisti milanesi (Terragni) e il Novecento (Funi, Marino Marini, Rambelli), con un ruolo di coordinamento di Mario Sironi ma in una città molto più figurativa di quanto fosse Milano[29]. La fotografia fu una protagonista della mostra, in grandi formati e fotomontaggi murali che non esplicitavano certo le ascendenze, politicamente inconfessabili, dall’esperienza tedesca di John Heartfield e dal futurismo sovietico. Sull’asse Milano-Roma, fondamentale per il fotogiornalismo, si avviava un rapporto fra arte figurativa e fotografia.

Porry mantiene uno sguardo autonomo, spesso sottilmente ironico; ma, per la sua efficacia, talvolta viene preferito dal regime. Con la bonifica delle paludi pontine, nei riti dell’autarchia e della fecondità che Mussolini coltivava con spettacolari trebbiature, Porry-Pastorel ci mostra il backstage della scena. Il pianale superiore della trebbiatrice come un set, le comparse in costume che attendono di entrare in campo, la selva di cineoperatori e fotografi, le berline dei gerarchi parcheggiate. Eppure, il suo close-up del duce intento alla trebbia ne diventerà l’icona più nota, capace di perforare ogni distanza con le arti, raggiungendo Duilio Cambellotti e Corrado Cagli nell’ambito della I Quadriennale di Roma (1935) e oltre[30].

Margini di autonomia nei confronti del conformismo ufficiale, faticosamente conquistati in un ambiente non facile. Dall’archivio privato di Giacomo Paulucci di Calboli Barone, presidente del Luce dal 1933[31], sono emersi due documenti correlati. Il primo è un appunto manoscritto, con tre mani e matite diverse. C’è un elenco di nomi di fotografi e di giornali per cui lavorano, e Porry è citato due volte (come fotografo del «Il Giornale d’Italia» e come titolare dell’agenzia VEDO). Una seconda mano con una matita rossa ha segnato con una croce tre fotografi, tra cui Porry. Una terza mano ha aggiunto per ciascuno dei tre segnalati il nome del direttore del giornale.

Il secondo documento è una lettera, su carta intestata del presidente Luce, indirizzata a Virginio Gayda, direttore del «Il Giornale d’Italia», chiedendogli di intervenire su Porry-Pastorel «che ha la deplorevole abitudine di intralciare quelli [del] LUCE nel lavoro che sono chiamati a espletare», e che «appartengono a un Ente parastatale tutelato da apposite leggi». Il direttore è pregato di intervenire, «prima di battere altra via»: così la velata minaccia. Generalmente l’intervento censorio sui direttori dei giornali aveva la forma della “velina” (il foglio quotidiano di istruzioni inviato in più copie battute a macchina con carta carbone e fogli sottili – di qui il nome) e di telefonate o convocazioni a palazzo. Un’intimidazione scritta è una rarità, forse un caso unico o almeno l’unico conservato.

È la testimonianza di attriti e frizioni tra fotografi concorrenti, alcuni dei quali più garantiti dal regime rispetto agli altri. Un altro documento del 1939[32] sembra orientato diversamente: Porry vi è indicato come «rappresentante della Hamilton Wright Organization che svolge attività giornalistica nel nord America per incarico del Ministero della cultura popolare». La realtà dunque ha molte facce.

Il trauma del fotografo

La Seconda guerra mondiale farà crollare il castello di carte della propaganda fascista. Nell’Archivio Luce si accumulano le foto “R”, riservate, da non divulgare perché rivelano, magari in qualche dettaglio, la disorganizzazione delle forze armate o il morale a terra dei soldati[33]. Porry partecipa alla fotografia di guerra solo indirettamente, attraverso il figlio Alberto, fotografo militare nella campagna di Russia: con le ansie di un padre per il figlio lontano e in pericolo.

Agli inizi del 1943 Alberto scompare nella tragica ritirata dall’ARMIR. Non se ne hanno più notizie, è disperso, non tornerà più. Il trauma di Porry-Pastorel è profondo. La sua passione per l’immagine, che il figlio aveva condiviso, si inaridisce e presto si estingue: quasi fosse la fotografia ad avergli tolto il figlio. Come se lo sguardo fotografico, troppo proteso a guardare oltre le convenzioni e le apparenze, fosse stato punito con la morte.

Nell’anno precedente, il 1942, era sceso a Roma un giovane milanese, Tullio Farabola, anche lui figlio di un fotografo. Doveva frequentare un corso di fotografia di guerra all’Istituto Luce ma avrà la fortuna di non partire per il fronte. Era piaciuto a Porry-Pastorel, aveva fatto un po’ di esperienza alla VEDO, tanto diversa dall’attività di suo padre Giuseppe [all’anagrafe Alessandro], fotografo dell’Arcivescovado milanese. Poi il ritorno a Milano, con i terribili bombardamenti del 1943 che faranno tabula rasa dello studio e negozio paterno. Tullio cambia strada: sarà fotografo ma di cronaca, avrà un’agenzia e un archivio[34]. Come Porry-Pastorel, che sempre considererà suo maestro. È troppo affermare che “Farabolino” sostituirà per Porry, come un figlio adottivo, il grande vuoto della morte di Alberto? Come testimonia lo stesso Tullio[35], gli regalerà il suo grande archivio, con tutte le foto scattate durante il ventennio fascista: un modo elegante per prendere congedo.

Archivio Storico Luce, Fondo Pastorel. Comparse in costume sulla riva del Tevere, presso Castel S. Angelo, 1923.
Foto fuori scena di un film muto non identificato

Nel dopoguerra è sindaco del piccolo paese dove si è ritirato, Castel San Pietro Romano. Nel 1953 incontra Vittorio De Sica alla stazione Termini[36] e lo convince che il suo paese è adatto per girare Pane amore e fantasia con Gina Lollobrigida e De Sica, che Luigi Comencini sta preparando. Seguirà Pane amore e gelosia, e Castel San Pietro diventerà una popolare location cinematografica degli anni Cinquanta e Sessanta. L’opinione corrente era che il fotografo avesse, sostanzialmente, deposto la macchina, ma nuove testimonianze emerse in relazione alla mostra romana hanno aggiunto elementi nuovi. In una affollata manifestazione tenuta a Castel San Pietro Romano, il 16 ottobre 2021, è emerso che Pastorel ha continuato a fotografare per il Comune di cui era sindaco attribuendosi un formale incarico gratuito di documentazione per immagini dell’attività  dell’amministrazione, e inoltre che ha fotografato molti abitanti del paese, anche in gruppi, anche in costume tradizionale, riprendendo una tradizione dei pittori ottocenteschi dell’agro romano. Al termine della manifestazione del 16 ottobre i cittadini di Castel San Pietro si sono affollati attorno ai relatori, mostrando le vecchie foto dei loro congiunti che Porry aveva loro regalato: uno scambio di ricordi che ha avuto momenti di emozione e che sollecita ulteriori studi.

Prosegue intanto l’attività dell’agenzia VEDO, e Porry-Pastorel ne è il padre nobile. L’ultima foto in mostra raffigura Tazio Secchiaroli, suo allievo alla VEDO, mentre lo fotografa: un secondo figlio adottivo. In alcune narrazioni Porry-Pastorel diventa il “padre dei paparazzi”. Un concetto riduttivo per lui, ma anche per il giornalismo romano, che collocherebbe a Milano il realismo fotografico e i grandi rotocalchi che ne sono nobile espressione, mentre a Roma i flash dei paparazzi illuminano i volti del cinema e i luoghi della cronaca nera, sul fondale di una Roma democristiana: così il manierismo cinematografico di Federico Fellini. Ma i reporter della scuola romana sono ben altra cosa, e preparano la fotografia militante degli anni Settanta.


[1] Il presente intervento amplia il saggio introduttivo della mostra monografica a lui dedicata (Roma, Palazzo Braschi, 1 luglio-24 ottobre 2021) promossa da Istituto Luce-Cinecittà e dal Museo di Roma-Soprintendenza Capitolina ai beni culturali e curata da chi scrive: Adolfo Porry-Pastorel, l’altro sguardo. Nascita del fotogiornalismo in Italia, Milano, Electa – Luce-Cinecittà, 2021.

[2] Per la vita densa di eventi di Adolfo Porry-Pastorel rimando alla nota biografica di Vania Colasanti nel catalogo della mostra: Adolfo Porry-Pastorel, una vita in prima pagina, pp. 116-118. L’autrice, nipote del fotografo e curatrice del suo archivio, ha redatto la voce a lui dedicata nel Dizionario Biografico Treccani (vol. LXXXI, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2015) e ha scritto l’unica biografia di Porry-Pastorel: Scacco Matto. La stravagante vita di Adolfo Porry-Pastorel, il padre dei fotoreporter italiani, Venezia, Marsilio, 2013.

[3] Mentre «L’Illustrazione Italiana», rivista borghese, già dal 1886 si rivolge alla fotografia. Cfr. G. D’Autilia, Storia della fotografia in Italia. Dal 1839 a oggi, Torino, Einaudi, 2012, pp. 150-152.

[4] Cfr. Un secolo di clic in cronaca di Roma. 1910/2010, i 100 anni del Sindacato cronisti romani, Catalogo della mostra (Roma, Museo in Trastevere, 19 novembre 2010-6 febbraio 2011), Roma, Cangemi Editore, 2010, pp. 12-14.

[5] G. Tartaglia, Il giornale è il mio amore. Alberto Bergamini inventore del giornalismo moderno, Roma, Edizioni All Around, 2018, p. 51 e n. 107.

[6] Sarà con Umberto Paradisi l’autore di A noi, l’unica documentazione filmica della Marcia su Roma (1923) che sarà poi distribuito dal Luce. Più tardi ricoprirà il ruolo di produttore nel discusso film di produzione Luce Camicia nera per la regia di Giovacchino Forzano (1933). Cfr. E.G. Laura, Le stagioni dell’Aquila. Storia dell’Istituto Luce, Roma, Ente dello Spettacolo, 2000, pp. 20 n. 5 e 72-73.

[7] Sui rapporti stilistici tra Porry-Pastorel e le agenzie internazionali cfr. F. Pesci, Fotografia di Novecento al Museo di Roma, in Roma nella camera oscura. Fotografie della città dall’Ottocento a oggi, a cura di F. Pesci e S. Tozzi, Roma, De Luca Editori d’Arte, 2019, p. 21. Anche Armando Bruni, interessante collega di Porry, fonderà la sua agenzia, attiva a Roma e Milano tra il 1919 e il 1949.

[8] Nel n. 102 del 12 aprile 1915.

[9] Il 12 aprile 1924 Eugenio Giovannetti descrive su «Il Giornale d’Italia» un incontro fra Mussolini e Porry. «Ecco il solito fotografo», avrebbe detto Mussolini vedendolo. «Ed ecco il solito presidente», avrebbe risposto Porry. L’antipatia risalirebbe alla foto scattata da Porry durante l’arresto di Mussolini: arresto che era un titolo di merito per un interventista, non certo una vergogna da nascondere. Di “ruggine” parlano anche Eileen Romano (in S. Romano, Mussolini. Una biografia per immagini, Milano, Longanesi, 2000, p. 179) e Vania Colasanti (Scacco Matto, cit., pp. 9, 22, 45, 59).

[10] Così, acutamente, P. Chessa, Dux. Benito Mussolini: una biografia per immagini, Milano, Mondadori, 2008, p. 3.

[11] La documentazione fotografica della marcia su Roma è come noto molto scarsa, anche perché non si trattò di un evento compatto, ma dell’arrivo a Roma, in varie forme, con mezzi diversi, da plurime provenienze, di gruppi di squadristi. All’occhio attento non sfugge che molte foto etichettate come pertinenti alla marcia sono in realtà ricostruzioni a posteriori o risalgono ad eventi anteriori. In particolare, il raduno dell’Arenaccia a Napoli il 24 ottobre 1922, a cui Pastorel fu presente scattando numerose fotografie.

[12] Su Francesco Misiano e le motivazioni dell’accanimento contro di lui cfr. la voce di F. Pieroni Bortolotti in Il movimento operaio italiano. Dizionario Biografico 1853-1943, a cura di F. Andreucci e T. Detti, vol. III, Roma, Editori Riuniti, 1977, part. pp. 479-481.

[13] Tra cui foto di scena del terzo Messalina di Enrico Guazzoni (1923) e fuori scena di vari film non identificati.

[14] Il regio decreto legge 1081, che imbavaglia la libertà di stampa in Italia, è pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» dell’11 luglio 1924, n. 162. Superata la crisi Matteotti, le leggi che fondano lo stato totalitario sono la L. n. 2263 del 24 dicembre 1925 e le successive.

[15] Le foto fanno parte dell’archivio che i figli Giancarlo, Isabella e Matteo Matteotti hanno conferito, dal 1983, alla Fondazione di Studi Storici “Filippo Turati” di Firenze.

[16] In prima pagina nel n. 196 del 17 agosto e nel n. 197 del 19 agosto 1924.

[17] «L’Illustrazione Italiana» nel n. 25 dedica un servizio al caso Matteotti («efferato delitto politico») con una foto di Porry-Pastorel e altre di Armando Bruni. Torna sull’argomento nel n. 27 e poi nel n. 34 con tre foto di Pastorel e una di Bruni.

[18] «Il Foto-Giornale», diretto da Franco Grappini nasce nel luglio 1924. È un mosaico di fotografie con didascalie (molte di Silvio Ottolenghi e di Porry-Pastorel) che segue con passione il delitto Matteotti. Usciranno solo quattro numeri. Su Ottolenghi cfr. Nulla sfugge al mio obiettivo. Silvio Ottolenghi photo-reporter, a cura di L. Danna, Torino, Associazione per la fotografia storica, 2005.

[19] Per la storia dell’Istituto: A. Sardi, Cinque anni di vita dell’Istituto Nazionale L.U.C.E., Roma, Istituto Nazionale Luce, 1929; E. G. Laura, Le stagioni dell’Aquila. Storia dell’Istituto Luce, Ente dello Spettacolo, cit.; G. D’Autilia, Il fascismo senza passione. L’Istituto Luce, in L’Italia del Novecento. Le fotografie e la storia, a cura di G. De Luna et alii, vol. 1, t. I, Torino, Einaudi, 2005 e Storia della fotografia in Italia, cit., pp. 198 e sgg. Ancora utile M. Argentieri, L’occhio del regime. Informazione e propaganda nel cinema del fascismo, Firenze, Vallecchi, 1979.

[20] R. D. n. 1985 del 5 novembre 1925, contemporaneo alla formazione dello stato totalitario.

[21] L’URI (Unione Radiofonica Italiana), da cui deriverà l’EIAR, un ente direttamente controllato dal governo, con il regio decreto n. 22 del 17 novembre 1927. A proposito di acronimi, non sfuggirà la somiglianza tra EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) e il grido fascista “Eja, eja, alalà”. Una curvatura propagandistica in cui si avverte l’ascendenza del Mussolini giornalista e comiziante che una notevole efficacia perderà strada facendo con sigle goffe come UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea, 1936) e MINCULPOP (Ministero della Cultura Popolare, 1937).

[22] Yesterday’s News: The British Cinema Newsreel Reader, curato da L. McKernan, Londra, Wallflower Press, 2002; R. Fielding, The American Newsreel 1911-1967, Norman, University of Oklahoma Press, 1972.

[23] E. G. Laura, Le stagioni dell’aquila, cit., p. 57 e n. 60.

[24] «Gli operatori del Luce (…) sono fotografi di estrazione piccolo-borghese, dalla cultura modesta, che trovano negli studi fotografici della capitale un luogo dove imparare una professione, acquisendo attraverso la gavetta della camera oscura una buona tecnica, ma che non conoscono le tendenze della fotografia del resto d’Europa né i movimenti artistici e culturali che le alimentano». Così il giudizio sprezzante di Uliano Lucas e Tatiana Agliani (La realtà e lo sguardo. Storia del fotogiornalismo in Italia,Torino, Einaudi, 2015, p. 58).

[25] Archivio fotografico Luce, Reparto Attualità, foto A00013157 e A00013159 (presente, ritoccata nello sfondo, nell’Archivio Farabola: AA-T-0M-0-082921).

[26] Sull’Archivio Farabola vedi più oltre per i rapporti fra Porry e il giovane Tullio Farabola. Per un’accurata ricostruzione cfr. Lucrezia Dell’Arti, Gli Archivi Farabola, in Adolfo Porry-Pastorel, l’altro sguardo. Nascita del fotogiornalismo in Italia,cit., pp. 113-114.

[27] Nel giugno 1924 ad Alessandro Sardi, sottosegretario ai lavori pubblici del I governo Mussolini, si era rivolta Velia Matteotti per essere ricevuta da Mussolini sperando in un aiuto per ritrovare il marito. Il colloquio ebbe luogo; Sardi però fu dimissionato, con altri, il 2 luglio. L’episodio è narrato da G. Nelson Page, L’americano di Roma, Milano Longanesi, 1950, pp. 154-156. Cfr. anche A. Antola Swan, Photographing Mussolini. The Making of a Political Icon, Londra, Springer, 2020, p. 77. Non sono note finora connessioni tra Sardi e Porry-Pastorel.

[28] Su lastre di vetro alla gelatina bromuro d’argento, o su pellicole di nitrato di cellulosa, prevalentemente in formato 9×12. S. Zaghini, Il patrimonio fotografico di Adolfo Porry-Pastorel. Storia e trattamento, in «Il mondo degli archivi», 31 gennaio 2014, http://mda2012-16.ilmondodegliarchivi.org/index.php/studi/item/282-il-patrimonio-fotografico-di-adolfo-porry-pastorel-storia-e-trattamento.

[29] Mostra della rivoluzione fascista, a cura di D. Alfieri e L. Freddi, Roma, Partito Nazionale Fascista, 1933; L. Malvano, Fascismo e politica dell’immagine,Torino, Bollati Boringhieri, 1988; J. T. Schnapp, Anno X. La mostra della rivoluzione fascista del 1932, Roma-Pisa, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2003.

[30] F. Pirani, Cagli, l’apparizione di nuovi miti e il tempo convesso. L’esempio della II Quadriennale, in Corrado Cagli. Folgorazioni e mutazioni,a cura di B. Corà, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2019, pp. 47-60, part. pp. 47-50. Quanto a Cambellotti, che si ispira all’icona di Porry-Pastorel nelle sue copertine per l’Unione Combattenti, l’Istituto centrale per la grafica conserva nel fondo omonimo tre fotografie di Porry-Pastorel relative a un allestimento teatrale al Teatro greco di Taormina (1928), in cui Cambellotti aveva realizzato i costumi.

[31] L’archivio è conservato presso l’Archivio di Stato di Forlì-Cesena, sede di Forlì. I due documenti sono riferibili al novembre 1933. Ringrazio Patrizia Cacciani, Responsabile dell’Ufficio Studi, Ricerche, Didattica e Biblioteca dell’Archivio Luce – Cinecittà SpA, per la segnalazione.

[32] Lasciapassare rilasciato dal Ministero della cultura popolare, Direzione generale per i servizi della propaganda, del 27 dicembre 1939. Conservato nell’archivio privato di Vania Colasanti, che ringrazio per la segnalazione. La Hamilton Wright era un’agenzia lobbistica americana specializzata nel migliorare i rapporti che i governi di altri paesi avevano con l’opinione pubblica e la stampa americana. Il fascismo si rivolse ad essa dopo il fallimento, negli anni Venti, della creazione di fasci italiani negli Usa. Il contratto era segreto, ed è poco noto anche fra gli storici, tanto che il Minculpop ricorreva a un’associazione italo-americana come intermediaria per non far figurare i pagamenti alla Hamilton Wright. Cfr. S. M. Cutlip, The Unseen Power, Thousand Oaks, Routledge, 1994; M. Pretelli, La via fascista alla democrazia americana: cultura e propaganda nelle comunità italoamericane, Viterbo, Sette città, 2012; F. Di Legge, L’aquila e il littorio. Direttive, strutture e strumenti della propaganda fascista negli Stati Uniti d’America (1922-1941), Alessandria, Edizioni Dell’Orso, 2017.

[33] Ampiamente presenti in War is over. L’Italia della liberazione nelle immagini dei U.S. Signal Corps,a cura di G. D’Autilia ed E. Menduni, Roma, Contrasto, 2015.

[34] Su Tullio Farabola [“Farabolino”], cfr. la voce di I. Zannier in Dizionario biografico degli italiani, Vol. XLIV, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1994.

[35] T. Farabola, Introduzione, in Farabola. Un archivio italiano, a cura di T. Farabola, Milano, Mazzotta, 1980, pp. 7-8.

[36] Probabilmente durante le riprese del film Stazione Termini, con Jennifer Jones e Montgomery Clift, regia di Vittorio De Sica, 1953.

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