di Prospero Francesco Mazza
Il racconto storico ripercorre le vicende degli assegnatari calabresi nel comprensorio di riforma agraria Silano-Crotonese, dall’applicazione della legge Sila sino all’inizio dirompente del miracolo economico.
Il lavoro è il risultato dell’esperienza di ricerca condotta a partire dalla Biblioteca “Emilio Sereni” dell’Istituto “Alcide Cervi” di Gattatico, in provincia di Reggio Emilia, in occasione del Master di secondo livello in Public & Digital History dell’Università di Modena e Reggio Emilia, nell’anno accademico 2020/21.
L’idea progettuale è emersa volgendo lo sguardo all’attuale condizione di abbandono delle campagne calabresi, dominate da vasti appezzamenti di terreno ricoperti di boscaglie e rovi, da muretti di terrazzamento in pietra e da ruderi di fabbricati rurali. Questi luoghi racchiudono storie di uomini e donne, protagonisti di una lunga stagione del movimento contadino italiano, che aspettano di essere conosciute e raccontate.
Gli interrogativi sulla situazione presente rappresentano dunque il punto di partenza per la domanda di ricerca finalizzata a comprendere le motivazioni che hanno portato alla situazione odierna di abbandono del paesaggio agrario calabrese.
L’argomento presenta un evidente interesse storiografico per gli storici, i public historian e il pubblico non accademico, visto che l’attuale abbandono delle campagne è strettamente connesso alla stagione del lungo ciclo di lotte del movimento contadino per la conquista della terra e della riforma agraria generale.
Nell’Italia degli anni Cinquanta del Novecento, improntata prevalentemente sul modello di società agricola, l’aspirazione contadina a ricevere un pezzo di terra è considerata, oltre che una fonte di lavoro e di sostentamento economico, uno strumento di riscatto sociale ed umano per sfuggire alle condizioni di sfruttamento secolare dei latifondisti. In Calabria le lotte del movimento contadino si manifestano in tre diversi momenti della storia dell’Italia unitaria: all’indomani dell’unità nazionale; nell’immediato primo dopoguerra; in seguito alla caduta del regime fascista, proseguendo nel secondo dopoguerra. L’intensità della terza stagione di lotte, in particolare a ridosso dei tragici fatti di Melissa del 29 ottobre 1949, spinge la compagine governativa all’approvazione della legge 12 maggio 1950, n. 230, Provvedimenti per la valorizzazione dell’altopiano della Sila e dei territori jonici cosentini o semplicemente legge Sila, che anticipa la riforma fondiaria nazionale sancita dalla legge 21 ottobre 1950, n. 841, Norme per l’espropriazione, la bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini o legge Stralcio e la legge regionale 27 dicembre 1950, n. 104, Riforma agraria in Sicilia.
L’attuazione della legge Sila sancisce l’inizio della controversa stagione della riforma agraria calabrese che per le sue caratteristiche di intervento straordinario è circoscritta al Comprensorio di riforma Silano-Crotonese, in quanto, secondo le intenzioni del legislatore, presenta la maggiore concentrazione di proprietà latifondistica, elevati tassi di disoccupazione, arretrate condizioni di vita e lavorative. Il territorio di riferimento si caratterizza anche per la presenza delle punte più avanzate del movimento contadino che ha sviluppato una coscienza di classe. Nello stesso territorio le forze di sinistra conquistano i maggiori successi elettorali. L’attuazione della riforma calabrese è affidata all’O.V.S. (Opera di valorizzazione della Sila), un ente preesistente e istituto con la legge 31 dicembre 1947, n. 1629, Norme per l’istituzione dell’Opera di valorizzazione della Sila. All’Ente Sila vengono affidate le funzioni di esproprio delle proprietà latifondistiche eccedenti il limite di 300 ettari, fissato dalla legge Sila, e della relativa redistribuzione delle terre scorporate alle popolazioni contadine senza o con poca terra. Nel Comprensorio di riforma Silano-crotonese l’O.V.S., incaricata di intervenire in 102 comuni, si attiva con operazioni di esproprio e assegnazione soltanto in 87 amministrazioni.
L’applicazione della legge Sila determina un capitolo delle lotte contadine e la nascita della categoria degli assegnatari, le popolazioni contadine senza o con poca terra che per effetto della riforma agraria ricevono un pezzo di terra, diventando dei piccoli proprietari terrieri. La nuova qualifica attribuitagli non genera un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro nelle campagne, nelle quali spesso si registra addirittura un peggioramento. Un aspetto sottovalutato dalla storiografia è il ruolo delle donne nelle campagne e nelle lotte del movimento contadino calabrese. Nonostante la legge Sila riconosca alle donne il ruolo di assegnatrici, l’Ente Sila elude fortemente questo diritto, considerandole semplicemente come mogli degli assegnatari e non in grado di gestire al meglio l’azienda agricola. Una visione errata che non considera l’effettivo lavoro svolto dal genere femminile nei campi, a integrazione o addirittura a sostituzione degli uomini, i quali, pur con la qualifica di piccoli proprietari, sono costretti a svolgere ulteriori lavori per il sostentamento della famiglia. Il ruolo delle donne risulta perciò di fondamentale importanza nelle lotte degli assegnatari, trovando un riconoscimento nella Conferenza delle donne della campagna del Mezzogiorno del 24 febbraio 1957 a Catanzaro con un appello per la rivendicazione dei diritti e dell’emancipazione femminile.
L’organizzazione iniziale degli assegnatari avviene spontaneamente dal basso attraverso la formazione di comitati e associazioni periferiche, senza una direzione verticale di indirizzo politico-sindacale. Questo provoca effetti negativi sull’efficacia della lotta e nel raggiungimento di obiettivi duraturi di lungo periodo. Il primo momento di confronto e di discussione delle problematiche degli assegnatari si verifica alla Conferenza nazionale degli assegnatari del 16-17 febbraio 1954, nella sala dei Commercianti a Roma, al termine della quale si costituisce il Comitato nazionale di coordinamento delle Associazioni autonome degli assegnatari. La tappa successiva è rappresentata dal primo congresso nazionale degli assegnatari, il 14 e il 15 aprile 1956 al teatro degli Industri a Grosseto, che determina la nascita dell’Unione nazionale delle Associazioni degli assegnatari. Accanto agli eventi nazionali, in Calabria si fanno diversi incontri, convegni e congressi provinciali e regionali. Gli appuntamenti nazionali confermano la lentezza dell’organizzazione degli assegnatari che avviene in un contesto attraversato dai profondi mutamenti socio-economici innescati dal miracolo economico italiano.
Il ritardo degli assegnatari ad organizzarsi in associazioni è favorito dall’approccio intimidatorio e ricattatorio intrapreso dai funzionari della riforma e dalla classe politica governativa, che adoperano una politica di elusione o di non applicazione integrale delle disposizioni normative esistenti, orientando con la loro attività la rottura del movimento contadino attraverso la contrapposizione tra assegnatari e contadini rimasti senza o con poca terra. I rapporti conflittuali tra Ente Sila e assegnatari sono alimentati dal mancato rispetto del limite dei 300 ettari, dalla lentezza delle procedure di espropriazione e riassegnazione delle terre, dalla permanenza delle terre migliori e produttive nelle mani dei latifondisti e dalle pressioni esercitate nel periodo delle elezioni locali e nazionali. Accanto a tutto ciò si manifestano le deficienze e le incomprensioni delle forze di sinistra che considerano le rivendicazioni degli assegnatari come comparti stagni, separate da quelle delle altre categorie di lavoratori della terra – braccianti, coloni, mezzadri e terrageristi – , senza capire la comune aspirazione a ricevere la terra. Infine al mancato raggiungimento degli obiettivi strategici della stagione riformatrice della legge Sila contribuisce anche la diffusa concezione della campagna come un mondo arretrato, attraversato da istinti primordiali e violenti, e della città invece quale idealtipo per il progresso e lo sviluppo della società.
La combinazione di questi elementi, unita allo spostamento dell’attenzione verso le lotte operaie del triangolo industriale e il fenomeno migratorio, dalla periferia verso i centri urbani, considerato uno strumento per alleviare le condizioni di criticità del Paese, genera forti sentimenti di delusione nelle popolazioni contadine, che vedono l’emigrazione come una scelta forzata nella speranza di condurre un futuro migliore.
Il lavoro, presentato in occasione della discussione finale del Master al Dipartimento di studi linguistici e cultuali dell’Università di Modena e di Reggio Emilia, si articola in due contributi strettamente collegati.
Il primo è la ricerca svolta, ricorrendo a una pluralità di materiali e a fonti storiche non tradizionali, un aspetto questo a cui la Public History tiene molto. Infatti i documenti dell’Archivio nazionale dei movimenti contadini (1944-1974), in particolare del fondo dell’Associazione nazionale degli assegnatari (1954-1958), della Biblioteca “Emilio Sereni” dialogano costantemente con le riviste e quotidiani disponibili presso lo stesso Istituto “Alcide Cervi” («Confederterra», «Cronache meridionali», «La Voce del Mezzogiorno», «l’Unità», «Riforma agraria», «Rinascita», «Terra meridionale»), con il giornale «Lavoro: settimanale della Cgil», consultato nella sede dell’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea di Modena, e con le fonti dell’Archivio storico sindacale della Cgil di Roma. Una parte di questi materiali sono stati selezionati e organizzati in una galleria iconografica.
Il secondo è la creazione del prodotto multimediale di Public History in grado di comunicare con un linguaggio adeguato il racconto storico anche ad un pubblico non accademico. Il processo di costruzione e di rappresentazione visiva ha visto l’interazione della galleria iconografica con le più significative testimonianze contadine emerse e i materiali audiovisivi dell’Archivio Storico Luce.
La disciplina della Public History stabilisce nei suoi principi fondativi quello di lavorare in gruppo, avvalendosi di competenze specialistiche, di cui il public historian è sprovvisto. In quest’ottica il prodotto multimediale realizzato si avvale della collaborazione del videomaker Dario Barbaro per il montaggio e la grafica e di Federica Molè e di Mario Iorio per la lettura delle memorie di contadine e contadini. Queste testimonianze, insieme alle foto e ai filmati scelti, hanno l’obiettivo di restituire la drammaticità delle reali condizioni di vita e di lavoro nelle campagne calabresi, permettendo una maggiore immersione, anche emotiva, nel contesto storico dell’epoca.
Per approfondimenti sull’argomento:
Molto interessante… Grazie!
Grazie a te, come sempre attenta lettrice!