Carlo Balelli e la squadra fotografica militare del regio esercito italiano a villa Mellini a Monte Mario
Abbiamo incontrato uno dei curatori, il professor Gabriele D’Autilia, durante la visita alla mostra, promossa dal Centro Studi Carlo Balelli per la storia della fotografia, che si terrà sino al 5 dicembre p.v. nella sede dell’Associazione Nazionale fra Mutilati ed Invalidi di Guerra a Roma, piazza Adriana 3:
“Il servizio fotografico militare italiano era stato un’iniziativa del capitano del Genio Maurizio Mario Moris, grazie al quale nel 1896 venne istituita una Sezione Fotografica presso l’esercito. Moris sarebbe stato un pioniere anche dell’aeronautica militare, ma le sue iniziative sulla fotografia aerea, con palloni aerostatici, risalgono agli anni precedenti all’invenzione dell’aeroplano.
In verità, anche le possibilità offerte dalla fotografia da terra erano ancora da sfruttare appieno. Se in quegli anni in Italia la prospettiva di una guerra sembrava lontana (ma, nei confronti del nemico storico, l’Austria-Ungheria, l’attenzione doveva comunque rimanere desta) lo studio delle frontiere e di ogni possibile attività nelle strategiche zone di confine, faceva comunque parte della routine militare: in particolare sulle linee di comunicazione (e quindi potenzialmente di invasione) oltre frontiera era possibile individuare cantieri per la costruzione di fortificazioni su cui i tradizionali cannocchiali non potevano dare informazioni sufficienti. Da qui la necessità di sperimentare sistematicamente rilievi ottici, panoramici e telefotografici, per ottenere più dati possibili; di questa attività di indagine, ancora insufficiente prima dello scoppio della guerra, sarebbe stato incaricato lo stesso Carlo Balelli nel settembre 1914, in tempi di pace nervosa: fu inviato in Carnia in abiti civili e con documenti falsi, come fosse un fotografo appassionato in gita di piacere, ma in realtà per riprendere le fortificazioni di quello che con ogni probabilità sarebbe stato il nemico. E lo ritroviamo ancora intento a raccogliere preziose informazioni fotografiche il 23 maggio 1915, quando esplodono i primi colpi di cannone.
Ma c’era ancora la pace quando Moris organizzava il suo piccolo reparto fotografico il cui scopo era innanzitutto studiare a fondo le possibilità del nuovo settore in ogni campo, dai materiali, alle riprese, alla stampa; fu scelta villa Mellini, situata tra i cipressi di Monte Mario a Roma, che offriva una vista spettacolare sulla città e quindi punti di vista adatti alla sperimentazione ottica: non solo i monumenti romani ma una visione in campo lungo fino ai Colli Albani e ai Monti Sabini. Disponendo del supporto prezioso del tenente Cesare Tardivo e di un gruppo di lavoro intraprendente, Moris si avvalse anche della collaborazione di Giovanni Gargiolli, responsabile dell’Ufficio dei Monumenti del Ministero della pubblica istruzione e certamente il più convinto sostenitore allora sia dell’utilità della fotografia per il censimento dei nostri beni culturali che del valore di una fotografia “pubblica”. Il reparto si fece inoltre inviare i materiali telefotografici già prodotti da qualche tempo dall’Istituto Geografico Militare di Firenze e provvide a rifornirsi dei migliori obiettivi allora disponibili e di una biblioteca specializzata in fotografia. Anche Carlo Balelli ricorda Monte Mario come una fucina di idee e sperimentazioni dove acquisì una capacità di osservare che gli sarebbe stata utile per la vita, un punto di vista analitico sulla realtà del tutto insolito nella formazione dei fotografi di genere: telefotografia, fotogrammetria e anche microfotografia (per la riproduzione di documenti da inviare con i piccioni viaggiatori) erano le specializzazioni. Gli allievi dovevano essere già competenti in campo fotografico, nell’uso delle macchine come nello sviluppo e nella stampa, e Balelli ricorda che molti erano come lui figli di fotografi di professione o di quegli appassionati benestanti che dalla fine dell’Ottocento erano stati tra i più entusiasti e curiosi edificatori della nostra cultura fotografica. Il tirocinio era di alto livello, sia sul piano teorico che pratico, dalle riprese dal pallone alla gestione di un laboratorio mobile, prefigurando le necessità che la guerra ancora immaginata avrebbe presto imposto”.