La memoria nell’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano

“Nella memoria le persone care possono vivere per sempre” sono con queste parole che Natalia Cangi, direttrice organizzativa della Fondazione Archivio Diaristico Nazionale, ci accoglie durante la nostra visita a Pieve Santo Stefano. Il paese, dove scorre il Tevere, è il primo a essere attraversato da questo fiume che qui, ancora incontaminato, sembra appena un rigagnolo. Tutto intorno una natura silenziosa e incredibilmente bella che circonda i pochissimi edifici antichi rimasti: tutto il resto è stato distrutto nell’agosto del 1944 dalle mine dell’esercito tedesco durante la ritirata. Ma camminando per le vie e viuzze di un paese scomparso si ha chiara la percezione che nulla sia stato dimenticato, che nulla sia diventato un semplice fantasma. E se questo è stato possibile, se la memoria veramente fa rivivere persone, luoghi e sensazioni, lo dobbiamo anche a questo archivio che da più di trent’anni protegge una memoria “delicata”, come quella scritta nei diari.

L’archivio Diaristico Nazionale nasce nel 1984 da un’idea di Saverio Tutino, giornalista e scrittore che vive la Resistenza in Val d’Aosta e nel Canaveseno, e che durante il dopoguerra sarà inviato e corrispondente nel mondo, in particolare in America Latina, arrivando a scrivere un bellissimo libro “L’occhio del barracuda. Autobiografia di un comunista”. Grazie a un “visionario” come Tutino oggi sono conservati negli scaffali dell’archivio più di 7.000 documenti autobiografici provenienti da tutta Italia.

Alcuni di questi sono “esposti” nel Piccolo museo del diario, diretto da Camillo Brezzi e ospitato all’interno del Palazzo Pretorio, uno dei pochissimi edifici antichi rimasti a Pieve.

“Il museo – ci spiegano Natalia Cangi e Nicola Maranesi, responsabile della comunicazione dell’archivio e coordinatore del progetto Grande Guerra – è nato per raccontare e far “vivere” l’archivio diaristico. Ma adesso aprite i cassetti e poi vi faremo vedere il Lenzuolo”. Lì per lì pensavamo di non aver compreso bene: cosa c’entrano cassetti e lenzuolo? Poi, in un tour virtuale che tutti noi almeno una volta nella vita avremmo voluto fare nella “soffitta della nonna”, abbiamo capito come le parole possano prendere veramente vita e raccontare la “propria storia”.

Il percorso museale, ideato dallo studio di progettazione dotdotdot, si snoda in tre stanze. Nella prima un’installazione permette al visitatore di aprire dei cassetti dove sono conservati dei diari mentre una voce narrante legge alcuni brani degli scritti accompagnata da un bisbiglio di fondo…le parole degli altri diari che vorrebbero farsi conoscere. La seconda stanza, invece, è interamente dedicata al diario di Vincenzo Rabito che con una lingua quasi immaginaria, piena di spazi e di punti e virgola, racconta la sua vita di bracciante agricolo in Sicilia, la fame sofferta nel primo e secondo dopoguerra, il boom economico negli anni Sessanta. “Il diario di Rabito – ci hanno spiegato Cangi e Maranesi – è un caso davvero unico, tanto che pubblicato nel 2007 da Einaudi con il titolo “Terra matta”, ha ispirato il documentario di Costanza Quatriglio prodotto da Chiara Ottaviano per Cliomedia Officina insieme all’Istituto Luce. E’ un diario lunghissimo e ricchissimo, a volte veramente divertente”.

E infine la terza stanza. Ed è qui che abbiamo scoperto, riposto con cura in una bacheca, il Lenzuolo. Descrivere lo stupore e l’emozione di vedere un diario, lungo tre anni, scritto su un lenzuolo vero largo più di due metri, è davvero difficile. Clelia Marchi, era una contadina di Poggio Rusco che alla morte del marito Anteo decide di iniziare, forse anche per alleviare il grande dolore, a scrivere un diario. Inizialmente Clelia scrive su carta (ben 25 chili) poi, si dice, una notte, finita la carta apre l’armadio e prende il lenzuolo più bello che ha e inizia a scrivere. Inizia a scrivere, con quella bella scrittura da contadina, incerta nella grammatica e nella grafia, i suoi pensieri, il suo vivere senza il marito, la sua storia. E poi delle bellissime poesie, poste con cura alla fine del lenzuolo, che nulla hanno da invidiare ai nostri poeti. Nel 1986 decide di donare il Lenzuolo all’archivio.

Sono queste solo alcune storie che potrete scoprire nel Piccolo museo del diario. Storie che appartengono a tutti noi e che per fortuna rimarranno ancora nella nostra memoria. Proprio per questo motivo è stato ideato il Premio Pieve che ogni anno, nella seconda metà di settembre (quest’anno si svolgerà dal 16-18 settembre) premia un diario che sarà in seguito pubblicato con l’editore Terre di mezzo e conservato, fortunatamente, nell’archivio diaristico.

 

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