di Luciana Fabbri
«Chi ha fatto tanta montagna non ne parla» dice Rosa Pastorino, ex staffetta partigiana e una delle principali testimoni nel documentario Lenzuola Rosse. Viene in mente la frase dello scrittore Italo Calvino quando, nel tentativo di tradurre in linguaggio l’esperienza della Resistenza e fissare in parole il magma esperienziale vissuto scrisse: «Avrei bisogno di tutto il resto, proprio di quello che non c’è».
Lenzuola Rosse è un documentario sulla memoria della Resistenza a Noli, un paesino ligure di 2500 abitanti, dove circa 90 partigiani hanno partecipato alla lotta armata tra il 1943 e 1945. Nella provincia di Savona la Resistenza fu particolarmente attiva per la presenza di numerose fabbriche e cantieri portuali dove la classe operaia aveva sviluppato una forte coscienza di classe e un antifascismo attivo. Ma il documentario si focalizza su una dimensione più casalinga o familiare della Resistenza. Ci si sofferma non tanto sulla lotta armata in montagna, di cui è così difficile parlare, quanto piuttosto sull’esperienza dei familiari dei partigiani, delle staffette, coloro che supportavano la lotta da casa, e sul contributo dei contadini. Per la ricerca storica ho consultato alcuni archivi: l’ANCR (Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza), l’AAMOD (Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico) e l’Archivio Storico Luce. Il materiale d’archivio nel documentario fa da contrappunto alle testimonianze degli intervistati.
Ho trovato toccante il fatto che la maggior parte delle testimonianze scritte su questo periodo siano state spesso indirizzate ai propri familiari, per essere tramandate ai propri nipoti. Partendo dall’idea di “post-memoria” elaborata da Marianne Hirsh, ovvero la memoria traumatica ereditata dalla generazione successiva a quella che ne ha fatto esperienza diretta, mi incuriosiva come questa venga tramandata e mantenuta in vita. Una memoria di esperienze non vissute in prima persona ma attraverso storie, oggetti e immagini, ed è quindi mediata attraverso un processo immaginativo. Per esempio questa è una poesia scritta da Beatrice Buschiazzo all’età di 8 anni, nipote del partigiano nolese Lucio Terragni.
La libertà
Righe violacee
segnavano il petto
del nonno.
“Non è nulla”
diceva indifferente.
Poi un giorno,
credendomi grande,
finalmente narrò:
“Era l’inverno del ’45.
Il mio nome era “Lucio”
e mi trovavo di guardia
all’accampamento partigiano
quando scorsi nella valle
soldati tedeschi
dagli elmetti luccicanti.
Mi spostai
sul dorso del monte
per seguirne le mosse.
Ma un fruscio
di foglie secche
mi rivelò ad un tenente
della S. Marco
che mi fece prigioniero.
Fui picchiato
come vedi,
sai perché?
Volevo
per tutti e per sempre
la LIBERTÀ”.
Il progetto di questo documentario nasce dall’esigenza di lasciare traccia dei racconti orali raccontati e tramandati all’interno di ambiti familiari. Questo metodo di analisi non è solo una soluzione al fatto che molti partigiani o persone che hanno fatto esperienza di questo conflitto, non ci siano più, e che quindi rendono la testimonianza orale o familiare particolarmente importante. Infatti si tratta anche di una ricerca che vuole sottolineare l’importanza delle testimonianze personali nella cultura, lavorando nel contesto della “storia dal basso”. Un tale processo sovverte le modalità e le pratiche di ricerca e storicizzazione tradizionali, ponendo piuttosto l’accento sulla conoscenza prodotta attraverso l’esperienza. Secondo Christine Sylvester la guerra deve essere concettualizzata come un insieme di relazioni sociali e di esperienze sul territorio, e non può essere compresa a meno che non venga studiata a partire dalle persone che ne hanno fatto esperienza in una miriade di modi, e non solo come luogo astratto di teorie di relazioni internazionali.
Ho chiesto ai familiari dei combattenti come si può rendere giustizia agli sforzi fatti dai loro predecessori e la risposta più comune è stata difendendo la democrazia e la Costituzione. La Resistenza ha posto la base della democrazia di cui godiamo oggi e che permette che non ci sia nessuno che prevalga sopra ad un altro con la violenza e possano coesistere pensieri diversi. Infine, credo anche che sia opportuno ricordare che grazie alla grande partecipazione delle donne nella lotta di liberazione, è stato riconosciuto il diritto di voto alle donne italiane che hanno votano per la prima volta il 2 giugno del 1946, in occasione del referendum istituzionale monarchia-repubblica.
In particolare, ci tengo a ricordare il contributo di Angiola Minella, combattente partigiana e deputata del PCI, sepolta al cimitero di Noli. Minella fu una delle 21 donne deputate su 556 componenti, che nel 1946 vennero elette all’Assemblea Costituente. È grazie a queste 21 donne se negli articoli della Costituzione italiana sono stati riconosciuti i valori della solidarietà umana, della tutela della persona senza discriminazioni di sorta, dei suoi diritti civili e sociali, e in particolare della salute che venne riconosciuto come unico “diritto fondamentale”. Diritti che ancora oggi devono essere garantiti e protetti.