Il 13 marzo 2015 ad Orvieto, nella sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, Palazzo Coelli, si è tenuta una giornata di studio dedicata alla Prima Guerra Mondiale nel territorio orvietano.
La rivista “Ricerche Umbre” nel numero 4-5 2014-2015 a cura dell’Istituto per le ricerche storiche sull’Umbria meridionale, ne ha pubblicato gli atti. Divisa in due sezioni: la prima ha analizzato i temi di carattere generale, mentre la seconda è stata dedicata alla Istituzioni cittadine che hanno dato conto delle tipologie documentali conservate presso di loro. Tutto nato nel 2013 dal lavoro di censimento sulle fonti documentarie del primo conflitto mondiale. Le istituzioni coinvolte: Archivio di Stato di Terni sezione Orvieto, Diocesi di Orvieto Todi, Opera del Duomo di Orvieto, Biblioteca comunale “Luigi Fumi”, comuni di Allerona, Castel Viscaro e San Venanzo.
Nella seconda sezione ci sono due articoli molto interessanti che ci consentono di comprendere la vita lontana dal fronte di guerra. Il primo a firma di Marilena Rossi Caponeri “Le fonti sulla Grande Guerra conservate nella Sezione di Archivio di Stato di Orvieto”, ex direttrice, ora in pensione, dell’Archivio di stato di Terni e quindi anche della sezione Orvieto, e il secondo a firma di Franco Pietrantozzi ed Edoardo Romoli “La Spagnola nel territorio di Orvieto”.
“La sezione di Archivio di Stato di Orvieto, per sua natura, conserva numerosi archivi, sia pubblici che privati, che occorreva censire e indagare sul tema del primo conflitto mondiale – scrive Marilena Rossi Caponeri – (…) L’obiettivo del lavoro era quello di far emergere dal silenzio testimonianze nuove, inedite anche inaspettate in molti casi, per accrescere la conoscenza del passato della città e del nostro Paese in rapporto alla Grande Guerra, quasi che Orvieto potesse essere paradigma della condizione di tante altre realtà italiane, che di fronte al conflitto si sono organizzate, hanno affrontato cambiamenti, hanno combattuto in prima persona, hanno sperimentato il dolore, la lontananza dei propri cari e la durezza della guerra”. Una testimonianza dalle lettere, spesso sgrammaticate, che i soldati in trincea inviano ai propri cari: soldato Giovanni Bianchini “… sarebbe necessario un berretto, una sciarpa, un paio di guanti e possibilmente una mulattiera … Se detti oggetti fossero usati poco mi importa, basti che mantiene un po’ di caldo”. Mentre tra gli archivi pubblici è stato indagato l’Archivio del Tribunale di Orvieto per conoscere e studiare i procedimenti penali. Vi sono 55 fascicoli, 3 sono procedimenti penali. Uno di loro è nei confronti di un soldato in licenza dalla trincea accusato di propaganda contro la guerra per aver pronunciato le seguenti parole: “La guerra durerà fino a che vi saranno degli imbecilli che andranno al fronte a farsi ammazzare”.
Il secondo articolo, dopo una introduzione generale sulla “grande influenza”, la Spagnola, in Italia ed in generale in tutti i paesi europei, sia quelli coinvolti nel conflitto, che quelli neutrali, si chiude con un capitolo dedicato al territorio di Orvieto. Ma cosa era la Spagnola? La più grande pandemia di tutti i tempi. Il nome di spagnola le fu dato perché i giornali spagnoli, liberi dai condizionamenti della guerra, furono i primi a darne comunicazione. I Paesi in guerra nascosero la malattia a lungo tra di loro.
Le strutture sanitarie presenti in Orvieto nel 1918, erano: l’Ospedale di Santa Maria della Stella, vicino al Duomo, Ospedali Militari di Riserva, tra cui Palazzo Clementini e l’ex convento di Santa Chiara, per i feriti che provenivano dal fronte e l’Ospedale di Treviso, trasferito. Molta la documentazione riguardante i ricoveri dei soldati dal fronte.
Dopo la disfatta di Caporetto, la città di Treviso era tra quelle a ridosso del fronte e per questo considerata in pericolo. L’ospedale civile venne lasciato per essere trasferito in quei comuni che avrebbero dato risposta positiva all’accoglienza. Un quesito inviato in via formale dalla Direzione del Genio di Roma a cui rispose il Vescovo di Orvieto, Salvatore Fratocchi. La scelta era ricaduta su Orvieto perché vicina a Roma e raggiungibile in treno facilmente. Una prima parte dell’ospedale di Treviso fu trasferita a Villa Raverio in Brianza. Ricca la corrispondenza tra i responsabile dell’ospedale trevigiano ed il vescovo orvietano. A maggio 1918 l’ospedale era pienamente operativo. Lo rimase per gli otto mesi successivi.
Nella primavera del 1918 si comincia a diffondere la notizia della malattia influenzale. Si diffuse anche in Orvieto a seguito della presenza di militari feriti italiani e austroungarici. Il culmine avvenne tra la fine di settembre e la fine di novembre 1918.
Il medico responsabile era il dottore Stramaccioni, ufficiale sanitario comunale, che scrisse numerosi resoconti su quali e quanti provvedimenti prendere per evitare la diffusione.Fu riaperto in viale Carducci un locale per l’isolamento dei malati. Quando l’ospedale civile di Treviso chiuse e fece ritorno nella sua città Prefetto e Sindaco chiesero che il dottore rimanesse per curare i civili che si stavano via via ammalando.
La guerra volgeva al termine. I militari ritornavano dal fronte e portarono con loro la pandemia. Il rientro a casa dei reduci coincise con il periodo di massima diffusione della Spagnola.
Il 29 novembre 1918 giunse in Orvieto il capitano medico Odoardo Ascenzi, che stilò una serie di rapporti sullo stato di salute della città a seguito della spagnola e delle altre malattie diffusisi. La sua presenza fu breve, seguirono altri medici dalle vicissitudini personali difficili.
La vita in città era cambiata. Allontanamento dei vincoli familiari, rottura di solidarietà di vicinato, frantumazione dei rapporti sociali – scrivono i due autori-. La malattia aveva lasciato tracce dolorose, oltre a quelle della guerra. L’articolo si chiude con le informazioni statistiche tratte dalle schede cliniche delle degenze nel reparto di Medicina dell’Ospedale di Orvieto, tra il 1° ottobre ed il 31 dicembre 1918 e i primi tre mesi del 1919 che ci raccontano non solo i numeri. Ma anche l’età, il genere e la classe sociale dei ricoverati.