La collaborazione tra Soprintendenza archivistica dell’Emilia-Romagna e Istituto Luce
Premessa: esperienze di didattica in archivio
Da tempo la Soprintendenza archivistica dell’Emilia-Romagna ha avviato iniziative tese a favorire un proficuo incontro tra il mondo dell’insegnamento e quello degli archivisti. Un’attività che si colloca a pieno titolo nell’alveo più generale dei percorsi cosiddetti di “didattica in archivio” svolti dagli Archivi di Stato, dagli Archivi comunali e da molti altri soggetti conservatori. Da parte della Soprintendenza un impegno particolare è stato messo, in questi ultimi anni, nei confronti degli archivi scolastici, troppo spesso dimenticati e raramente fatti oggetto di progetti di valorizzazione culturale.
Ciò ha portato, per esempio, alla firma di un protocollo d’intesa con l’Università di Bologna e l’Ufficio scolastico regionale dell’Emilia-Romagna finalizzato alla realizzazione di un pre-censimento degli archivi scolastici di Bologna e della provincia. Tale protocollo è stato rinnovato nel dicembre 2015 con l’intento di ampliare l’indagine alle altre Province della regione. Sempre in tema si richiama, tra i tanti possibili casi esemplificativi, la collaborazione con l’Istituto “Alda Costa” di Ferrara che ha condotto alla pubblicazione di un numero monografico dei “Quaderni dell’Archivio Storico Comunale di Ferrara” con il titolo Una nuova scuola per la città. Gli studenti in archivio per l’ottantesimo compleanno dell’Alda Costa.
Ma senza dubbio l’iniziativa più rilevante della Soprintendenza archivistica regionale, giunta oramai alla quindicesima edizione, è il ciclo di incontri “Quante storie nella Storia: settimana della didattica in Archivio”, un progetto promosso in collaborazione con IBC – Soprintendenza per i beni librari e documentari della Regione Emilia-Romagna e ANAI – Sezione Emilia-Romagna che coinvolge decine di Enti e scuole della regione (con una media di 50 soggetti partecipanti ogni anno). Durante la “Settimana” gli enti pubblici e privati presentano le esperienze realizzate in un alternarsi di visite guidate e percorsi a tema specifici per studenti o adulti, presentazioni di laboratori didattici, iniziative di formazione, incontri con docenti, mostre documentarie e molto altro. Tali appuntamenti costituiscono un momento d’incontro tra archivisti, insegnanti e studenti con la finalità di condividere saperi, aspettative e obiettivi diversi ma ugualmente consapevoli dell’importanza dell’analisi delle fonti archivistiche per giungere a una più approfondita conoscenza del fatto storico. La XV edizione della Settimana si è tenuta dal 2 all’8 maggio 2016; sul sito della Soprintendenza è consultabile il programma dell’iniziativa e quello delle passate edizioni. A conclusione dell’edizione di quest’anno si è tenuto, inoltre, il seminario monografico dal titolo Vite in movimento. Spunti ed esperienze di ricerca sulle fonti di storia dell’emigrazione (Bologna, 12 maggio) con interventi di archivisti, storici, economisti, narratori, insegnanti. Tra gli altri interventi anche quello dello scrivente, svolto in stretta collaborazione con la dott.ssa Patrizia Cacciani dell’Istituto Luce, dal titolo L’emigrazione italiana del secondo dopoguerra nei cinegiornali dell’Istituto Luce.
L’emigrazione italiana del secondo dopoguerra nei cinegiornali dell’Istituto Luce
Il mio intervento al seminario ha ruotato attorno a tre documenti messi gentilmente a disposizione dall’Istituto Luce; si tratta di:
- il documentario Luntano ‘a te (G. Paolucci, 1952 – b/n, sonoro, durata 09:15 minuti);
- il n. 741 della “Settimana Incom” (14/3/1952, per la parte Inchiesta sull’emigrazione, durata 01:13 minuti, sonoro, b/n);
- il n. 1442 sempre della “Settimana Incom” (16/8/1956, per la parte La tragica miniera belga, durata 01:40 minuti, sonoro, b/n).
Tre filmati che hanno completato un itinerario seminariale interamente dedicato ai fenomeni migratori in età contemporanea e che hanno consentito di riflettere su una tematica di particolare interesse: il rapporto cinema/storia. Tornano allora care le parole di Marc Ferro che un trentennio fa (L’histoire sous surveillance, 1987, p. 147), richiamò l’attenzione sul fatto che dai film gli storici possono ricavare un vero e proprio “museo dei gesti, dei comportamenti, degli oggetti… poi le strutture e le organizzazioni sociali; infine il funzionamento nascosto di una società”, tutti aspetti per così dire invisibili che non vengono illuminati dalla storia tradizionale. Ho creduto utile richiamare inizialmente le tappe cronologiche fondamentali nella costruzione della fonte audiovisiva: il 1895 (primo spettacolo cinematografico a Parigi), il 1896 (prima proiezione pubblica a Roma), il 1899 (guerra anglo-boera, primo evento storico filmato), il 1936 (prima trasmissione televisiva sperimentale a Berlino per i Giochi olimpici), il 1952 (primo telegiornale italiano, sperimentale). Infine un richiamo diretto al primo cinegiornale, prodotto nel 1908.
Ha scritto al riguardo Pierre Sorlin (L’immagine e l’evento, 1999, p. 85):
I cinegiornali non offrivano una visione immediata e diretta dei fatti. Tra il momento in cui avveniva la ripresa e la proiezione di un’immagine coordinata, montata, sonorizzata, passavano almeno tre giorni. (…) Tenuto conto di questo divario temporale, i realizzatori dei cinegiornali non si curavano dei soggetti minuti e preferivano i temi di interesse generale, suscettibili di essere a lungo discussi. Il cinema interveniva come elemento complementare, come un’illustrazione di fatti già conosciuti attraverso la stampa: non intendeva apportare rivelazioni, ma rendeva presenti e vivi volti, dati, circostanze, di cui i giornali avevano dato una prima descrizione. (…) Visti oggi, i cinegiornali trasportano lo storico in un universo che non è più il suo, che non ha nulla in comune col mondo dei giornali televisivi. Il loro aspetto forse più sorprendente è l’assenza di un nesso tra le rubriche: le cronache arrivavano in momenti diversi, venivano montate una dopo l’altra, man mano che si ricevevano. Così, si saltava da un pauroso naufragio a un’allegra festa di carnevale, dalla minaccia di un conflitto a una corsa di tartarughe.
Il Novecento, dunque, come secolo caratterizzato da un’esplosione di fonti a disposizione degli storici; una rivoluzione documentaria che si è accentuata nel secondo dopoguerra. Ha scritto in proposito De Luna, (L’occhio e l’orecchio dello storico, 1993, p. 14):
Qualsiasi storico abbia avuto la ventura di visitare i sotterranei dei National Archives di Washington dove sono conservati i documenti relativi alla seconda guerra mondiale, dovrebbe sconsolatamente rinunciare a trattare quell’argomento, per l’impossibilità di esaurire – nell’arco della stessa vita – l’esplorazione di tutto quel materiale.
Viene, in buona sostanza, meno l’illusione positivista di raccogliere tutti i documenti prima di mettere mano alla penna. Di fronte a questa complessità e varietà delle fonti contemporanee si è risposto, metodologicamente, con la nascita della cosiddetta “nuova storia”, nuove metodiche cioè per utilizzare le “nuove fonti”; la storia tradizionale non avrebbe, infatti, avuto domande da porre ai media, mentre la “nuova storia” (la storia sociale, la storia della mentalità, ecc.) è pronta a utilizzare le fonti audiovisive.
Ancora De Luna (L’occhio e l’orecchio dello storico, p. 6) lucidamente osserva:
Non era mai accaduto che una così grande quantità di gente avesse davanti agli occhi una così grande quantità di documenti nei quali poter leggere la storia del proprio passato. L’accoppiata cinema/televisione ha avuto in questo senso gli effetti più dirompenti, permettendo alla televisione di costituirsi in una sorta di archivio storico gigantesco e teoricamente aperto a tutti.
Una vastità che apre problemi duplici:
… da un lato, l’individuazione di procedimenti di critica delle fonti che possono essere applicati a questo tipo di documenti, tenendo conto della loro specificità; dall’altro l’esemplificazione di “oggetti” della ricerca nei cui confronti il ricorso a queste stesse fonti si rivela più proficuo e in grado di fare realmente progredire la conoscenza storica del mondo contemporaneo.
Film, documentari, fotografie, registrazioni sonore sono, dunque, nel contempo “testimoni diretti degli eventi”, ma anche interessanti “modelli di narrazione” capaci di restituire informazioni involontarie sulla realtà dell’epoca. Smarriti gli entusiasmi ottocenteschi secondo cui un film sarebbe stato utilizzato dagli storici del futuro come un assoluto mezzo di prova della realtà “così come essa era veramente accaduta”, . si aprirebbe una riflessione non solamente sulla narrazione retorico/propagandistica (eclatante nelle dittature ma ovviamente ben presente anche nelle democrazie) ma anche sulla falsificazione e la manipolazione delle immagini (esempi celebri che conosciamo sin dalla guerra di Spagna). Ma paradossalmente tali materiali sono comunque interessanti, pur risultando – all’analisi critica – dei “falsi”. Si potrebbe addirittura dire che, talvolta, il “falso” è altrettanto interessante del “vero”.
Fotografia e cinema, dunque, non come “espressione reale e veritiera della vita” ma come costruzione e ricostruzione narrativa che come tale richiede un lavoro di critica interna ed esterna. Forse per questo allo storico “scienziato sociale” si è andato affiancando sempre più lo “storico narratore” (un esempio: Nuto Revelli) e sempre più spesso il “narratore storico” (altro esempio: Sebastiano Vassalli) Dal punto di vista della didattica della storia è innegabile l’impatto immediato sul pubblico e la capacità del racconto per immagini di dilatare e facilitare la comprensione. La fortuna di rete tematiche come RAIStoria ne sono un esempio.
Con Patrizia Cacciani avevamo già avuto modo di riflettere sul rapporto Storia/Fonti audiovisive collaborando a un tirocinio universitario (Università di Bologna) che aveva poi portato la stagista, Elena Brilli, alla redazione di una tesi di laurea triennale dal titolo) Wilfred Von Oven, “Un «nazista» in Argentina”: primi risultati di una ricerca sulla figura dell’addetto stampa personale di Joseph Goebbels (2015). Un progetto che peraltro oggi prosegue con l’ambizione di realizzare un documentario originale sull’argomento.
I tre filmati citati, offerti dal Luce, hanno permesso di trasferire questo vasto campo di questioni e riflessioni su documenti e oggetti reali. Un esempio a mio avviso efficace per parlare di storia e memoria.