“Le stagioni della memoria, Conversazioni sul mito della Grande Guerra”

Giovedì 10 dicembre  nella città di Trento, in una atmosfera natalizia, nella sede dell’Officina dell’Autonomia si è tenuto l’incontro “Conversazioni sul mito della Grande Guerra”. E’ stata l’occasione per confrontarsi sul tema della memoria nelle regioni di confine e sulle conseguenze del primo conflitto mondiale. Hanno partecipato alla conversazione, moderati da Patrizia Marchesoni, Quinto Antonelli, Andrea Di Michele, Lucio Fabi, Blaz Vurnik e Patrizia Cacciani.

Andrea Di Michele, Patrizia Marchesoni, Quinto Antonelli.

Tra le relazioni presentiamo “La Grande Guerra in Slovenia: memoria collettiva e monumenti” di Blaz Vurnik conservatore del Museo della Città di Ljubijana.

Perché nel 1918 il nuovo Stato di Yugoslavia fu ostile alla memoria dell’Impero austro-ungarico? E’ da questa interessante domanda che il conservatore del Museo storico di Ljubljana, di Blaž Vurnik è partito per introdurre il suo intervento.

“Le ragioni principali – ha spiegato Vurnik – risalgono al tempo della fine della guerra, quando circa due terzi del territorio nazionale sloveno confluiscono nella federazione di Stati, alla fine denominata Yugoslavia, insieme ai regni di Serbia e Montenegro, che durante la Grande Guerra avevano combattuto nello schieramento opposto a quello dei soldati sloveni. La memoria dei caduti è comunque rimasta viva ed è stata principalmente conservata in termini privati dalle famiglie o in contesti locali, come testimoniano ancora oggi lapidi e monumenti in diversi villaggi e città che riportano i nomi dei caduti della zona. Le lapidi sono in genere modeste e si trovano sui muri delle chiese o nei cimiteri. Un modo per dare una sepoltura e un nome a quei caduti che altrimenti non l’avrebbero avuta”.

La neo federazione decise, quindi, alla luce della nuova configurazione territoriale e politica, di portare avanti una serie di commemorazioni legate ad alcuni avvenimenti, come le battaglie di Cer e Kolubara nel 1914 e la ritirata dell’armata serba verso la costa adriatica nel 1915. “Inoltre – ha continuato il conservatore del Museo – furono commemorate le vicende dei volontari sloveni che avevano combattuto con l’armata serba e i successi militari dei volontari sloveni e dell’armata serba nel dicembre 1918 e nel 1919 in Stiria e Carinzia”.

In quel particolare e difficile momento storico, che è stato il periodo tra le due guerre, si era creata una sorta di informale classificazione tra “veterani di serie A” e “veterani di serie B”. Di questi ultimi vi facevano parte tutti quegli sloveni che avevano indossato l’uniforme austriaca nella prima Guerra Mondiale. “E ciò – ha sottolineato lo storico – è accaduto anche per le vittime. Su questi caduti non si potevano sviluppare sentimenti patriottici in relazione alla loro morte o sacrificio, né le loro vicende potevano rientrare nei valori nella nascente ideologia della nuova società yugoslava. La conseguenza è stata che i monumenti e le lapidi alla memoria dei caduti non sono stati quasi mai finanziati con risorse pubbliche. Le risorse necessarie sono state raccolte attraverso campagne organizzate localmente da reduci e famigliari. Inoltre, nel periodo fra la fine della guerra e il 1931, le associazioni degli ex combattenti e dei reduci hanno eretto più di 150 monumenti e lapidi”. Le varie cerimonie che si svolsero in quel periodo in occasione dell’inaugurazione di monumenti e lapidi non vedevano mai la partecipazione di figure politiche di primo piano e i discorsi fatti in quelle occasioni erano in favore della pace, intesi come monito, e contro gli stermini della guerra. Non vi erano proclami di carattere eroico ma erano principalmente orientati a comprendere il senso della morte e del sacrificio dei caduti nella prospettiva della liberazione nazionale e della nascita della nuova federazione.

Il disinteresse da parte dello Stato e delle figure politiche di primo piano yugoslave nel celebrare i caduti sloveni della Prima Guerra Mondiale è ancora più evidente se si considera invece la loro partecipazione alla consacrazione del rinnovato Cimitero militare italiano presso il Cimitero centrale di Žale a Ljubljana il 4 novembre 1931. “Il governo italiano – ha ricordato Vurnik  – aveva acquisito la vasta area di terreno dove ora è situato il cimitero e l’evento inaugurale era stato sontuoso. Molti corpi diplomatici erano presenti assieme alla banda militare e al picchetto d’onore, inoltre, il rito era stato officiato dal vescovo Gregorij Rozman”.

E cambiò qualcosa con la Seconda guerra mondiale? “Con quest’ultima, il dopoguerra e la rivoluzione socialista che ne seguì si crearono nuove circostanze per riconfigurare la memoria collettiva. La commemorazione della Prima Guerra Mondiale doveva lasciare spazio a memorie recenti considerate più importanti dalle nuove autorità socialiste. Diventa importante commemorare gli eroi caduti, le battaglie e le offensive più significative e l’organizzazione che rese possibile la lotta di liberazione e la rivoluzione. I nuovi valori e le nuove norme sociali non avevano nulla in comune con la Prima Guerra Mondiale che si rivelò ben presto irrilevante nel formare la nascente memoria collettiva socialista. La commemorazione della Prima Guerra Mondiale non era di nessuna utilità ai rappresentanti politici socialisti per sottolineare la nuova dottrina politica e sociale. I caduti erano i soldati di un impero, quello austro-ungarico, considerato come una prigione per le singole nazionalità che lo costituivano: il suo vittorioso esercito era quello di un impero e lo Stato che da esso si formò dopo la Grande Guerra era di stampo borghese a discapito della classe operaia. La conseguenza diretta di ciò, è stato il completo oblio, fatta eccezione per la tolleranza della memoria nella sfera privata degli ex combattenti e di coloro che a distanza di decenni mantenevano viva la memoria dei famigliari caduti. Oggi – ha concluso lo storico – uno dei più significativi e meglio conosciuti memoriali della grande Guerra in Slovenia è la cosiddetta Cappella russa sotto il passo di Vršič vicino a Kranjska Gora. Questa cappella ortodossa è stata costruita nel 1916 in memoria dei prigionieri di guerra russi che morirono sepolti da una valanga durante i lavori di costruzione della strada verso il passo Vršič. La cappella è stata costruita dagli stessi prigionieri”. E ogni anno, nel 2015 è stata la volta dei rispettivi capi di governo, Miro Cerar e Dimitrij Medvedjev, i rappresentanti politici russi e sloveni si incontrano presso la cappella per un evento celebrativo che ricordi tutte le vittime, anche quelle slovene.

 

 

 

La Fondazione Museo Storico del Trentino si è dotata da poco tempo di un canale televisivo, History Lab, dedicato alla storia e alla memoria consultabile in streaming su hl.museostorico.it .

In una prossima puntata sarà trasmessa la conversazione con Patrizia Cacciani ed un breve intervento di Blaz Vurnik.

 

 

 Vi invitiamo a visitare l’interessante mostra “35-45: guerre e totalitarismi in una regione di confine” che sarà aperta sino al 5 settembre 2016, presso Le Gallerie di Piedicastello.

Il promo della mostra.

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